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Cherry Vanilla – Ziggy’s Papers. David Bowie: Lettere Ai Fan 1973-1975 (Noreply, 2007)

Il Duca Bianco non è mai stato uno sprovveduto. Dai primi anni Settanta ha dimostrato come – con la sapiente assistenza di un pirata come Tony De Fries – fosse possibile inventarsi una carriera da rockstar planetaria prima di esserlo. Perché la gente ci crede, se sei abbastanza convincente nelle tue esternazioni pubbliche.

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The Mainliners – S/T (Crusher, 2007)

Ne abbiamo già parlato, di questi garage rocker nordici, in occasione dell'uscita di un loro singolo per la ottima Crusher Records. Rieccoci – con un lieve e colpevole ritardo da parte mia – a occuparcene.
Vedete, il fatto è che il rock viaggia con bioritmi strani, irregolari e, diciamolo, bastardi. Ti prende, poi ti molla, poi ti riprende e poi ti sfancula ancora. Questo tanto nella vita di tutti i giorni, quanto nei dischi. E così il bioritmo rock dei Mainliners doveva essere in un picco tendente al basso quando hanno composto l'opening track di questo album, la sconcertante Olivia, ovvero un brano che ricorda perigliosamente Bryan Adams in una giornata di vago sixties revival.

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The Mainliners – Dead Man’s Hall/Daughter Of Dimes 7″ (Crusher, 2004)

Una seratina che è lì-lì per iniziare, buio fuori, gli anfibi che per qualche motivo restano addosso, la cintura borchiata si allenta ma non si sfila.
Il momento è cruciale. Potresti frugare in quel ripiano della libreria e riesumare quei 3-4 grammi d'erba, oppure svuotare la bottiglia di Merlot. Ma anche tutte e due le cose.
E poi finisce che ti butti sul vino, perchè la stanchezza ti ovatta i movimenti e rollartene una non sarebbe proprio cosa. Mentre ti versi il primo bicchiere e guardi il rosso rubino, ti viene in mente che hai mezza dozzina di 45 giri in un angolo della stanza, che attendono una recensione. Li ripeschi e il primo è firmato dai Mainliners. Lo piazzi sul piatto senza pulirlo, dai un calcio allo stereo, per sbaglio, e il disco parte da metà.

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Victor Bockris – Keith Richards (Omnibus Press, 2006)

Provvidenziale, questo ristampone in paperback piuttosto economico che la Omnibus sforna a 14 anni dalla prima uscita del volume originale. C'è da dire che nei paesi anglosassoni il libro ha avuto ampia diffusione e diverse edizioni, mentre da noi nisba. Tant'è vero che anche questa ennesima incarnazione è in lingua inglese, recuperata in quel di London in un Virgin Megastore, reparto novità in offerta speciale. Ma tant'è: scimmie siamo e scimmie resteremo, e se gli editori più illuminati qui da noi arrivano a tradurre Please Kill Me nel 2006 (ricordo di averlo proposto almeno nel 1996, anche a editori "specializzati" – vero Arcana e compagnia bella? – ma nessuno mi ha mai degnato nemmeno della soddisfazione di capire ciò che stavo dicendo: massa di buoi spongificati) ce lo meritiamo. Ampiamente. Totalmente.
Fanculo.

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