At The Gates – At War With Reality (Century Media, 2014)

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Non faccia storcere il naso il ritorno degli svedesi At The Gates, perché trai solchi del nuovissimo At War With Reality si nascondono dei momenti di ottimi livello e non certo il materiale raccogliticcio di una band che vuole monetizzare un passato così influente e riverito. L’essere riusciti a scrivere, a distanza di 19 anni dal canto del cigno (così si pensava allora), l’acclamato Slaughter Of The Soul, un disco abbastanza coeso e convincente depone a tutto favore di Thomas Lindberg e soci, capaci di far traspirare dai solchi del vinile appena uscito la chiara esigenza di avere ancora da dire qualcosa. Il peccato originale è stato semmai quel riformarsi nel 2007, imbarcarsi in qualche live devastante e poi ritornare in pista. Una scelta, questa sì, da molti ostracizzata dopo che Tompa e compagni non avevano mostrato la volontà e l’intenzione di ritornare sul palco. Ma ora, passati altri anni, non possiamo certo dirci destabilizzati da un disco debole o buttato lì. Dopo un’intro in spagnolo, appare rinata la violenza degli svedesi in Death And The Labyrinth che mostra come l’età non sia un problema quando di fatto (da Terminal Spirit Disease in poi) gli At The Gates hanno portato il melodic death su un’altro pianeta. Per cattiveria, lucidità, velocità, riffing e soprattutto per impatto, decisamente hardcore in una scena che invece avrebbe da lì a poco privilegiato il rintanarsi in una sfera di influenze più chiaramente classic metal. L’apice del ’95 di Slaughter Of The Soul segnò l’inizio di una terribile filiazione: centinaia di band che volevano scimmiottare il suono At The Gates con risultati mediamente scadenti. La fantomatica etichetta “deathcore” venne affibbiata a miriadi di gruppi che solo alla lontana (rubando qualche riff) riuscirono ad avvicinare il suono degli svedesi. E se si fa eccezione per alcuni album (ricordiamo alcune valide uscite dei Darkest Hour) si attendeva che il gruppo tornasse a dire la sua su un terreno che aveva creato dal nulla insieme a un manipolo di visionari conterranei. Il disco scorre bene, magari non con la stessa sequenza di scosse telluriche del suo illustre predecessore, né tantomeno con il suo incedere sempre a un passo dal limite. Ma le bordate ci sono, forse sono aumentati un po’ i mid tempo e le aperture chitarristiche melodiche che creano un suono straniante e romantico prima del nuovo assalto all’arma bianca. La voce di Tompa graffia ancora e dal vivo la band dice il suo. Non è un disco imprescindibile certo, ma quanto la batteria tira e i riff geminati incidono guidati dalla voce catacombale di Lindberg siamo davvero contenti di tenere tra le braccia il vinile di At War With Reality e non di The Endless River.