Angelo Bignamini – Decay (Luce Sia, 2017)

The Great Saunites, Lucifer Big Band, Billy Torello, Filtro… Ad elencare tutti in progetti in cui è coinvolto Angelo Bignamini da Lodi rischio di esaurire le battute a disposizione per la recensione. Stavolta però si presenta a suo nome con un nastro per l’ineffabile Luce Sia dove, in mezz’ora, il musicista ci mostra il suo lato più intimo e introverso ma anche il più poetico. Se, come ci dice il titolo, il tema è la decadenza si tratta di una decadenza evocata in spazi ampi, pervasi da un’atmosfera livida che il musicista contempla quasi con malinconia. Siamo fra elettroacustica e post-industrial ma con un senso del limite nell’uso del rumore che rende l’ascolto decisamente interessante, permettendo di cogliere sfumature e profondità altrimenti illeggibili nelle distorte frequenze noise. I nastri e gli effetti che vengono infatti manipolati senza mai eccedere in distorsione e volume, generando un suono ruvido ma ovattato che viene poi assemblato senza abbandonarsi a uno stile informale ma dando ordine, ritmo ed equilibrio alle parti. Se sul primo lato i buoni momenti non mancano – a partire dal noise granulare dell’inizio che sfocia in una foresta di battiti riverberati – è sul secondo che il lavoro trova la sua coesione e massima compiutezza. Il suono guadagna profondità, gli spazi evocati da percussioni dubbate e lentissime e spipoli elettronici sono grandiosi ma descritti con pochi tratti/suoni così da evitare ogni magniloquenza e la sensazione è la stessa che si ha nell’assistere a distanza, affascinati e inquieti, allo scatenarsi di un temporale. Antichi studi di storia dell’arte mi fanno venire in mente il termine “sentimento del sublime” e direi che si adatta alla perfezione a questa musica. Come accennavamo all’inizio Decay è interessante se inserito nella discografia di Bignamini ma non è indispensabile contestualizzarlo per capirlo: il contesto se lo costruisce benissimo da sé.