Continua la collaborazione tra il chitarrista svedese Finn Loxbo e il batterista danese Anders Vestergaard, che già con il precedente The Swirling Colors avevano trovato un loro peculiare modo di esprimersi attraverso il limite della ristrettezza strumentale: una chitarra acustica e un rullante collegato a pochi dispositivi elettronici per generare feedback. Un disco che aveva colpito con la sua particolare intensità introversa ma allo stesso tempo affascinante.
Trovare un reale punto di vista attraverso il quale riuscire a esprimersi vuol dire anche avere il coraggio di percorrerlo fino in fondo, e, in un’ottica realmente sperimentale, vagliarne continuamente limiti e potenzialità. Così anche in questo Saint Erme il duo continua a insistere nella stessa direzione con la volontà di ricercare costantemente attraverso il limite nuove possibilità e tensioni sonore. E il gioco continua a funzionare per la sua grande capacità sottrattiva. Elettroacustica che utilizza intelligentemente il silenzio come tela sulla quale disegnare, attraversandola con momenti più densi con cui gestire l’esecuzione, ma sempre costruendo attraverso la scheletricità dell’interazione un segno vacuo eppure persistente; un costante lavorio sui nervi e sulla dimensione interattiva.
Nella fantasmagoria afona delle timbriche risalta stavolta una maggiore concretezza nella voluta vacuità, una maggiore attenzione compositiva che gestisce il climax con ragionamenti più puntuali senza tuttavia scalfire di un millimetro l’aleatorietà che pervade la composizione. Circostanza forse dovuta al fatto che sia stata commissionata dal Koncertkirken di Copenaghen, occasione che comunque non inficia affatto l’apprezzabile visione di fondo.
Ancora una volta una musica tesa, cupa, che comunica attraverso l’incomunicabilità, ma allo stesso tempo espressiva e coinvolgente. Un discorso non facile, certo, ma che rende l’ascolto molto gratificante.
Un altro bel centro che solletica la curiosità di vedere ulteriori possibili sviluppi.