Anastasia Coope – Darning Woman (Jagjaguwar, 2024)

Citare Brigitte Fontaine, Nico e le musica corali scandinave potrebbe sembrare una boutade per una musicista 21enne ma l’ep appena uscito di Anastasia Coope brilla di una luce magica invero. Nove brani, per meno di 25 minuti di grazia, rintocchi di pianoforte e voci fatate e fuori dal tempo che si affastellano una sull’altra. Sembra di essere in una chiesa di inizio secolo, con tutta la forza della gioventù che si esprime libera. C’è la mescolanza arcaica, il folk, il gospel, la splendida Women’s Role in War. Sembra di essere alla foce di un fiume che, scomponendosi in differenti rivoli, dia luce ai prodromi degli stili musicali odierni. Roots music come non mai. Anastasia sembrerebbe arrivare da Cold Spring, un villaggio che, aprendo la pagina wikipedia a lui dedicata, sembra uscire dal set di un film sul crocevia fra western ed horror. Magia pura, potenziale efferatezza, fascino, addirittura un castello abbandonato. Esordiente da diciottene con il suo primo ep Anastasia si gioca la carta di una voce evocativa, mobile ed intensa, raddoppiata da cori che sembrano usciti da una confraternita. Darning Woman, la rammendatrice, è un disco che punto dopo punto, brano dopo brano, costruisce con calma una mappa di straordinaria bellezza.
Di certo sentiremo parlare di Anastasia Coope a lungo, intanto repeat, repeat, repeat, ad libitum.