Amiata (pop musik) – Alti Eldoradi (Human Kind, 2024)

Amiata (pop musik) li avevo sentiti dal vivo a metà febbraio allo Studio Foce di Lugano, dove presentarono suppergiù il materiale che trovo ora in questo Alti Eldoradi in maniera efficace e fresca.
Cosa non scontata, che il limbo nel quale hanno scelto di galoppare non è il più semplice tra
poesia, decadenza art-rock, venature caraibiche e magiche sorprese. Marko Miladinovic è magnetico, con una voce che sembra quella di un demoniaco blanditore che ti uccide a paroloni.
La doppietta iniziale, Il Potere (genitori genitali) che trasporta Alberto Camerini nel rock in opposition e ricordi fra Matia Bazar e CCCP in Federico, ci apre un ventaglio sonoro incredibile.
C’è una capacità di racconto e di costruzione di atmosfere e di storie che non risultano mai
stucchevoli ma perfettamente calibrate in mini avventure affascinanti e curiose, fra Dei, umani,
mito e realtà .Il pop di Amiata (pop musik) è Poesia Orale Prestante, intento che li avvicina ad idee artistiche come Inverno della Beffa o Post Contemporary Corporation giocando però con i colori e le strutture dell’orecchiabilità, guastando così il giocattolo dall’interno, in una sobillatura che a tratti può rievocare i percorsi effettuati nella New York di 50 ani fa dai Talking Heads.
Il suono è arrembante, atavico, percussivo e scintillante ed il quadro è estremamente seduttivo,
un languore che non è solo decadenza ma precisa scelta di svelarsi senza barriere, in una
semplicità disarmante. L’amore in Non si gode, una tromba ed il donarsi all’altrui bisogno e piacere conquista e disarma, i bassi aperti in colloquio con i morti, di nuovo un reggae cristallizzato in Bollicine fin ad una chiusura che ci dimostra di come, unendo parole e suono, si possa ancora creare qualcosa di perfettamente quadrato e pungente, senza inventare nulla, ma elaborando in continuazione quello splendido cubo di rubik che continuiamo a chiamare musica.