Amen Ra – Mass V (Neurot, 2012)

La paura è quella di accendere una luce, di veder filtrare un raggio di sole, di imbattersi in un’incandescenza che possa, malauguratamente, spezzare l’oscurità. Non ci sarebbe nulla di peggiore che risvegliarsi dal torpore oscuro, ma intrigante, che il disco dei belgi Amen Ra ha proiettato dentro noi ascoltatori. Un tortuoso e sfiancante viaggio mentale che incomincia dall’artwork di questo quarto album, Mass V, si dipana lento dal bianco e nero ferale della copertina fino ai reconditi antri color pece del disco e, soprattutto, della sostanza musicale prediletta dal gruppo. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio monolite, tanto oscuro quanto appagante, che ribadisce ancora una volta come, cambiati anche solo di poco gli elementi in ballo, si riesca ad arrivare a un suono convincente grazie a una personale e intima declinazione di musiche già note e diffuse quando non abusate. 40 minuti per quattro tracce che non si rivelano affatto un mattone indigesto quanto uno sfiancante incedere musicale che parte da basi ben precise (Neurosis e quanto correlabile musicalmente, post-hardcore, sludge, doom, ambient…) ma mostra incoraggianti segni di vita: un carattere incisivo che riesce al salvarci dal mero revival. Il dazio nei confronti dello storico gruppo californiano è subito saldato: il disco esce su Neurot e il reverendo Steve Von Till officia la cerimonia nel quarto e ultimo brano del disco. Detto questo mi sento di sottrarre gli Amen Ra dalla pletora di gruppi che, più o meno pedissequamente, hanno succhiato fino al midollo quanto possibile dalla scia dei Neurosis. Complice un’ottima produzione, un suono cupo ed evocativo, gli Amen Ra plasmano un disco post-metallico con un totale controllo sulla materia musicale. Il suono è sfiancante ma ben addomesticato musicalmente: le bordate di matrice hardcore e gli elementi più atmosferici e ambientali sono inglobati in una struttura controllata compatta su cui svetta una voce fuori controllo. Corde vocali abrase e sanguinanti che battezzano ogni canzone senza però eccedere. Una struttura meno orchestrale e tribale rispetto alla band di Oakland con qualche rintocco freddo e glaciale che rimanda a certo postcore fine 90 (Will Haven meno aggressivi e saturi) e a una certa marzialità atmosferica e attitudinale di post-folk apocalittico.  Il gioco dell’alternanza pieni/vuoti, l’arpeggio che sfocia nella bordata sludge o nel riff sinistro e catacombale dimostra una certa predisposizione e un certo agio con il meglio di quanto, dagli anni ’90 la scena post-core ha portato avanti. Potenza, fascino evocativo, equilibrio. Non scadere nel pacchiano o nel mero esercizio calligrafico è una grande prova, ai nostri giorni. Disco godibile, da ascoltare. Amen (Ra).