È strano approfondire il lavoro di un’artista con il quale si ha avuto il piacere di collaborare fino a poco tempo prima. Òpare, l’opera precedente di Alessandro Adelio Rossi era infatti uscita per la mia DDDD quasi alla fine del 2023 ma il seguire le tracce di questo musicista mi ha sempre scatenato una certa curiosità, per cui ho colto l’occasione di incrociare i miei pensieri coi suoi a proposito di Gianni Benaglia, artigiano ed artista forse più vicino ad Alessandro Adelio di quanto si immagini.
Questo è quanto scambiato, per il resto esplorate e perdetevi in questa campagna dell’anima.
Ciao Alessandro, eccoci finalmente! Differentemente rispetto ad Òpare Abbecedario naturale è una colonna sonora che deve quindi tener conto delle immagini di una storia come differisce questo tipo di lavorazione per te come musicista rispetto alla costruzione di un album?
È stato un approccio completamente diverso rispetto alla costruzione di un album come Òpare, il quale ha seguito un flusso di coscienza molto libero e costruendosi giorno per giorno, nell’arco di due anni. In Abbecedario ho fatto dei passaggi più razionali. La scelta meticolosa della palette dei suoni, quindi l’integrazione di uno strumento come il pianoforte acustico, che non avevo mai usato prima. Poi è arrivata la scrittura del tema e dei brani. Successivamente ho cercato il modo più funzionale per registrare il materiale.
A che punto della lavorazione sei stato coinvolto da Gianni Canali e Luca Catò, i registi questo progetto?
Nel caso di Abbecedario Naturale, mi è stato chiesto di intervenire a montaggio praticamente chiuso. Ho lavorato scrivendo e producendo le tracce tagliandole e cucendole sulle immagini, su misura. Ho infine fornito un premontato di tutto il film ai registi, che hanno tenuto praticamente tutto, chiedendomi di modificare qualche entrata o qualche dissolvenza.
Conoscevi già Gianni Benaglia e il suo lavoro artistico? Lavorando sulla sua storia, hai forse trovato delle affinità o delle attinenze tra il suo lavoro e il tuo?
Non lo conoscevo. Sono rimasto colpito fin subito dalla sua figura, dai racconti di Gianni e Luca nel primo incontro tra noi nello studio di Gianni.
Mi ha affascinato subito il racconto di questo suo grande archivio di raccoglitore ossessionato da ogni elemento del bosco. Infinite scatoline contenenti foglie, cortecce, semi, catalogate meticolosamente. Alcuni nomi scritti a pennarello su queste scatole sono poi diventati i titoli delle composizioni della colonna sonora. Ho trovato delle affinità nello sguardo, nell’amore per la natura, per il bosco. Un sorta di semplicità apparente nel linguaggio che galleggia su una complessità e una profondissima introspezione.
Come compositore e musicista ti consideri un’artista od un artigiano (o forse altro ancora?). Che differenza trovi fra questi termini?
Non mi definirei mai un artista. È un termine che non mi piace e che non direi mai di me stesso. Penso che se qualcuno si autodefinisce artista, c’è qualche problema. Mi rendo conto che nei miei lavori, sia come musicista che come disegnatore, illustratore, mi confronto quotidianamente con una materia che potrebbe essere definita artistica, ma per quanto mi riguarda mi sento molto vicino a una dimensione artigianale, di uno che ci mette del suo essenzialmente per risolvere problemi, ogni qualvolta mi viene assegnata una commissione. Poi ogni tanto mi prendo la libertà di creare dei mondi diversi, dove mi piace stare per un po’, quando mi sento spinto da una sorta di urgenza che viene dall’interno. Una cosa che faccio per me, ma con un’attitudine forse poetica, ma anche politica, nel senso antico del termine. Ma il mio approccio non cambia, si tratta sempre di modellare una materia, che sia colore, forma o suono, l’attitudine è sempre quella di un artigiano, che trova dei modi di risolvere un’idea con i mezzi che ha a disposizione in quel momento. Il divertimento e la gioia sono l’obiettivo, stare con me, in quel mondo, in quello spazio e in quel tempo, fino a quando il lavoro è concluso.
Sei un’ascoltatore di colonne sonore? Quali sono quelle che porti maggiormente nel cuore? Il fatto che una musica creata a servizio delle immagini stia in piedi anche da sola è un punto a favore?
Si, da sempre ascolto le colonne sonore, indipendentemente dalle immagini, dai grandi classici, Ennio Morricone, Angelo Badalamenti, Piero Piccioni, Nino Rota, Egisto Macchi, Ryuki Sakamoto ecc. fino a Jim Jarmusch con i suoi Sqürl, Johan Johansson, Richard Skelton, Alva Noto, Hildur Guðnadóttir. Credo di concepire la musica sempre con una componente visuale. La musica da me prodotta, che sia una colonna sonora o un disco, ha sempre origine da immagini. Nel caso di Òpare è stata la pianura, ad esempio, ad ispirare e dare il via al processo produttivo del disco. Personalmente credo che la musica stia sempre in piedi anche da sola, questo non vale per le immagini in movimento. Il suono è un linguaggio infinitamente più profondo delle immagini e quindi in grado di arrivare in zone molto interne, molto profonde.
Che ruolo gioca in questo l’evocazione finora?
È fondamentale. Io sono attratto e cerco di produrre musica evocativa, più che descrittiva. La parte emozionale è strettamente collegata a una dimensione espressionista.
Tre anni hai composto un’altra OST, La bicicletta ed il badile. Che differenze di lavorazione ci sono state? Con che metodo le hai approcciate?
In questo caso sono stato coinvolto nel progetto fin dall’inizio. Alberto Valtellina e Maurizio Panseri mi hanno parlato del film fin dalla sua genesi. Ho quindi iniziato a comporre ancor prima di aver visto il girato. È stato facile, trattandosi di un film ambientato in montagna, lasciarmi andare e immaginare dei suoni per questo ambiente che frequento da tanto tempo e che amo profondamente. Poi abbiamo avuto diversi incontri, nei quali Alberto mi ha mostrato il lavoro che prendeva forma, permettendo che si creasse un lavoro in parallelo, molto stimolante.
Da questo metodo è nato così un lavoro diversificato ed eterogeneo, sia nei suoni che nella scrittura che si può dividere in tre parti: una parte molto evocativa dove ho utilizzato molto la chitarra elettrica, quando ancora non avevo visto il girato ma solo immaginato, una parte acustica, composta da brevi finestre di chitarra acustica prevalentemente in fingerpicking, un po’ più didascalica e descrittiva, infine una parte elettronica, che copre la lunga coda finale, in cui si possono sentire synth modulari, un moog analogico e anche una batteria (suonata da Fabrizio Colombi, mio sodale nei Bancale), che vanno a formare un’ostinata corsa krautosa.
A cosa stai al momento? Cosa possiamo aspettarci da AAR?
Ho lavorato ad altre due colonne sonore. Una per un film “Gigi a Nespello” che è stato presentato la scorsa settimana al Trento Film Festival nella sezione Terre alte e un documentario in uscita nei prossimi mesi, entrambi di Alberto Valtellina, con il quale c’è una sorta di sodalizio di anni.
Altri progetti: ho registrato da poco con gli Humus Tenebris un trio drone noise ritual dove suono synth granulare, clarinetto e harmonium oltre al canto armonico di Claudio Agosti e Ivan Cortesi alla chitarra noise. Sempre con Ivan abbiamo il duo Psoas! In cui lui suona salterio a mandòla, da lui sapientemente costruiti da abile liutaio qual è, mentre io mi rimetto alla chitarra elettrica ambient paesaggistica.
Nel frattempo sto portando avanti un nuovo lavoro come ideale proseguimento di Òpare, dove il fender rhodes dilatato è il protagonista principale del viaggio.
Grazie mille Alessandro, buon viaggio e buon proseguimento!
A te!