Nel mare di etno-freak che sta sommergendo il pianeta da qualche anno a questa parte il misterioso texano Ak’chamel cerca di emergere inondando il mercato di uscite discografiche, rigorosamente su cassetta; Discogs ne elenca una decina a partire dal 2013, ma non sono nemmeno certo siano tutte. In barba a qualsiasi pretesa filologica e viaggiando dal proprio soggiorno mediante registrazioni etnografiche e siti internet (e forse qualche sostanza) – come un Salgari del terzo millennio – il musicista mette insieme una serie di tracce piuttosto free dove percussioni, cordofoni delle più disparate provenienze, chitarre e occasionali campionamenti si intrecciano dando vita ora ad abbozzi, ora a brani più strutturati, tutti accomunati da un’atmosfera oppiacea che non sarebbe dispiaciuta al Burroughs de Il Pasto Nudo. Il centro dell’ispirazione sembra collocarsi in un’area che va dal Nord Africa al Medio Oriente con occasionali puntate in zone che in altri tempo avremmo detto terzo mondo, ma nonostante il suo orientalismo sia probabilmente sincero fatico a farmi coinvolgere dall’ascolto. Non che manchino i buoni momenti – la quasi epica Amazonia Exotica o la Bullet Ant Initiation distorta da una chitarra molto personale – ma nel complesso la patina etno è talmente presente da farmi preferire l’ascolto degli originali, ormai facilmente reperibili, a questo falso d’autore. È un discorso che riguardo non solo il lavoro di Ak’chamel ma l’intero giro dei fourth world post-colonial appropiator (come fra il serio e il faceto si definisce) dai Sun City Girls in poi: al di là del tributo a sonorità che affascinano e delle dichiarazioni di appropriazione culturale dal sapore situazionista, fatico davvero a cogliere il senso profondo (se c’è) della cosa. Transmissions From Boshqa è un buon lavoro di genere; è il genere che, almeno per me, resta un grande punto interrogativo.