Songs: Ohia - Mi Sei Apparso Come Un Fantasma (Paper Cup, 2001)

La sesta fatica di Jason Molina e dei suoi Songs: Ohia consiste in un album registrato dal vivo in una fattoria del '500 presso S. Martino Spino (Mo), utilizzando un registratore analogico a sedici tracce.
Il risultato è affascinante e suggestivo: otto pezzi (di cui cinque inediti senza titolo) che sembrano girare intorno a se stessi, svuotati e scarni come non mai, alla stregua di fantasmi che ripetono meccanicamente gesti ed abitudini compiuti in vita. Vuoto esistenziale senza catarsi. Melodie dai testi talmente ermetici (leggere per credere!) che farebbero una pippa a Enrico Ghezzi. Il primo Will Oldham che ogni tanto si ricorda di attaccare la spina e di far gemere una chitarra elettrica, per capirci.
La solita nenia newfolkslocore? Il meglio che vi possa toccare in 'sti tempi, dico io.

al momento ho ascoltato solo ghost tropic
(al più presto mi procurerò il resto) e ha cambiato la mia
sensibilità musicale... e grazie a tizio e fooltribe che hanno
organizzato il tutto a s.martino, no?
Paolo

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Songs: Ohia - Didn't It Rain (Secretly Canadian/White And Black, 2002)

Eccolo ancora: dopo Ghost Tropic, un live ed un paio di EP, torna Jason Molina aka Songs: Ohia con un nuovo lavoro, dalla solita grafica minimale e dalle cupe atmosfere, sempre in sospeso tra il Neil Young più malinconico e il Will Oldham più riflessivo. Apre il disco la title track, una classica ballata con tanto di coro femminile (Jennie Benford) in sottofondo. Segue Steve Albini’s Blues, un blues, appunto, come del resto Two Blue Lights. Ring The Bell incredibilmente lascia per un momento le nuvole nere e claustrofobiche per fare spazio ad un discreto pezzo folk arricchito dalla presenza di archi. “Blue chicago moon swings like a blade above the midwest's heart” canta Jason in Cross the Road, Molina, posta non a caso al centro del lavoro, quasi a rappresentarne l’anima, il fulcro. Ed è infatti il pezzo più toccante, più 'vero' di tutti. La lunga Blue Factory’s Flame (che supera gli otto minuti) è un brano nella più classica tradizione midwest, dilatato, un lento 4/4 che - sarà per la presenza di una voce femminile - mi ha fatto venire in mente i Low più di una volta. Blue Chicago Moon è posta in chiusura, ed anche lei come Ring The Bell è quasi brillante, come se Jason Molina, dopo un cupissimo e mortale Ghost Tropic, cominciasse a vedere la luce. Rimanendo, comunque, nel buio più profondo.

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