Seam - The Pace Is Glacial (Touch And Go, 1998)

A tre anni dall’ultimo, splendido Are You Driving Me Crazy?, tornano in azione i Seam di Sooyoung Park. Il loro quarto disco si presenta in una veste nuova: abbandonato il blu malinconico che caratterizzava tutte le precedenti copertine, ecco ora un paesaggio gelido, desolato, spettrale, un cielo incolore, di una vuotezza e di una essenzialità spaventose. Chi si trovasse in sintonia con una tale sensibilità apprezzerà senz’altro anche i suoni all’interno, come sempre dolcissimi e tristi, e al contempo ruvidi e movimentati; rispetto al lavoro precedente si nota forse una minore cura generale, da cui un certo senso di incompiutezza, di imperfezione, quasi i pezzi fossero stati registrati frettolosamente. Pareva fosse nell’aria anche un vento di trasformazione, si diceva dei Seam ormai adeguatisi alle ultime tendenze e passati al post-rock, ma tutto ciò è smentito dalla musica che si ascolta nel disco: sempre del caro vecchio indie rock si tratta, energico e tranquillo al momento giusto. È vero, però, che si avvertono piccoli cambiamenti che rendono questo lavoro più vicino a The Problem With Me piuttosto che al terzo bellissimo album; c’è un po’ meno poesia e un po’ più voglia di sperimentare (pur restando nello stesso campo musicale), il che fa sembrare questo un "disco di transizione" rispetto alla solida certezza rappresentata da Are You…Così, The Pace Is Glacial non è quel disco "perfetto" che mi sarei aspettato, ma si lascia scoprire e apprezzare lentamente, mostrando piccole novità sparse tra le più peculiari caratteristiche del sound del gruppo. L’iniziale Little Chang, Big City ad esempio, divisa tra un andamento giocoso e ritmato in stile Urusei Yatsura e un dolce intermezzo soave, mostra sinteticamente le due facce della band, capace di slanci trascinanti e impetuosi (Get Higher) come di parentesi distese, melliflue e leggere (Inching Towards Juàrez). Da notare pure l’ondeggiante ed instabile Nisei Fight Song, con voce prima sussurrata e poi – incredibile! – urlata, e lunga coda strumentale in crescendo, ripetitiva e corroborante; e la monotona ma emozionante chiusura strumentale di Aloha Spirit, dimessa eppure intensa e fiera, costruita sulla falsariga di Autopilot (su The Problem With Me, confermando così le mie impressioni di somiglianza dei due dischi). In sostanza, un buon lavoro, anche se non del tutto convincente.

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