Rosa Mota - Wishful Sinking (Mute, 1995)

Ovviamente sottovalutato, ed ovviamente rivelatosi un piccolo capolavoro, Wishful Sinking (grande sin dal gioco di parole del titolo, che ricalca con amarezza e cinismo "wishful thinking") è l'album di debutto dei londinesi Rosa Mota. Aiutati in fase di registrazione e mixaggio da Robin Proper-Sheppard (God Machine, Sophia) e guidati da Ian Bishop (ex Ultra Vivid Scene), questi cinque ragazzi (tre maschietti e due femminucce) hanno composto un'opera complessa e rumorosa, segnata primariamente dall'indiscutibile influenza dei padri ispiratori Sonic Youth, ma caratterizzata anche da ispirazione e sperimentazione, sostenute a loro volta da una buona dose di personalità ed inventiva. Si sforzano parecchio, insomma, per apparire più che mai originali e rifuggire ogni banalità: si spiega così anche l'utilizzo di strumenti quali violino, violoncello, flauto, clarinetto, basouki ed armonica, che vengono inseriti piacevolmente nel mare - ora dolce, ora vorticoso - creato dalle chitarre. Suggestioni, sfoghi, emozioni si susseguono in un continuo mutare di tempi, stili ed atmosfere; fondamentalmente, però, la musica resta sempre la stessa, ovvero un rock mutante (art-rock?) debitore un po' al noise e un po' alla scena shoegazer (Ride, i più recenti Revolver), tendente talvolta a slanci impetuosi, talaltra a parentesi poetiche e sognanti, ma sempre intriso di viscerale passione, e per questo di grande trasporto emotivo. Il disco si snoda attraverso tredici brani immersi in un'atmosfera decadente e psichedelica, e culmina in una lenta agonia di chitarre. Lo splendido incipit di Thintro introduce, appunto, nel movimentato universo sonoro della band, grazie a delicate ma tese armonie, tipiche degli ultimi Seam; la voce fa capolino solo alla fine, per cantare poche parole…la sensazione, indescrivibile, è che si tratti sin d'ora di pura magia. I sei minuti sonicyouthiani de L'Egoiste ne sono la conferma. È una necessaria, irrefrenabile espressione di irrequieti stati d'animo ("don't confuse me, just abuse me") a costituire la struttura dello spettacolare primo singolo Asbestos Frenz, simile agli Alice Donut di Rise To The Skin. In altri sette trascinanti minuti, Hopey è capace di più trasformazioni, grazie anche al continuo alternarsi e sovrapporsi delle voci maschile e femminile di Ian e di Julie (come in quasi tutte le altre canzoni, con un effetto comunque sorprendente). Con Unrequited Love Song la band si tramuta improvvisamente in un ibrido punk di Breeders e Whale con tanto di vocina maliziosa, ma solo per poco; la superba Little White Horse riporta i nostri sul consueto tracciato con un'aggressiva, riuscitissima combinazione di tromba e chitarre. La successiva Touched ancora si destreggia fra tratti sognanti e fitte sezioni rumorose, mentre Smack Scratch aumenta esponenzialmente d'intensità per ritornare poi all'iniziale, dolcissima quiete. Giuro che in Always With Wings sembra di ascoltare i Marlene Kuntz (e non è strano, viste le influenze comuni), almeno fino all'inserimento del flauto nel finale. Confonde il brevissimo assalto punk di …Got Nuffin…, specie perché precede un brano ispirato ed infinitamente delicato quale Deepness. Stripped And Bleeding è il giusto finale per un'opera di questo genere: ancora dolcezza e rumore inserite in un contesto quasi bucolico, e poi il solo rumore delle chitarre abbandonate a se stesse. Il "problema" del suono derivativo scompare di fronte all'indubitabile talento dei Rosa Mota, autori di un lavoro eccezionale ed unico, trascinante, emozionante, rabbioso e malinconico, carico di entusiasmo e privo di cadute di tono, tanto da risultare alla fine dei conti assolutamente imperdibile. Un'ultima nota: il disco è dedicato al compianto bassista dei God Machine, Jimmy Fernandez.

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ciao... ho trovato la fanzine su invito di un amico...
sinceramente qui mi è venuta la pelle d'oca mista ad incazzatura...
amo i rosa mota... cazzo c'entra con i marlene kuntz?...
- pardon, avevo solo bisogno di dirlo... :-P
god.less