Ronin - Ronin (Ghost, 2004)

Ho visto i Ronin davanti a venti persone e davanti a più di cento. Posso immaginarmeli da soli o con una folla ai piedi.
Ci sono pochi gruppi in Italia capaci di lavorare sulle tradizioni e sulle contemporaneità nella maniera in cui lo riesce a fare l'ensemble aperto guidato da Bruno Dorella, dei Wolfango e Ovo nonchè patròn della Bar La Muerte. Questo disco è il perfetto punto d'incontro tra le chitarre alla Morricone, le melodie balcaniche sentite agli angoli delle strade suonate da maestri di Conservatorio rumeni, le voci di donne che scaldano il mediterraneo dalla Spagna al Meridione italiano, finanche alle colonne sonore TexMex del duo Tarantino-Rodriguez.
Tutto è dosato alla perfezione, anche le atmosfere jazzate e soffuse, lievemente anni '30, che si insinuano in alcuni arrangiamenti. E' difficile che io faccia ascoltare della musica a mio padre, ma sono convinto che questo disco possa essere uno di quei rari punti di incontro tra generazioni.
Ma non pensate a questo disco come ad un noioso suono ammuffito, d'altronde perchè dovrebbe piacere a mio padre se non fosse un curioso reperto da museo? La sua contemporaneità brucia nelle corde, pardon, nei soffi ai fiati e nelle punte degli sticks di Jacopo Andreini, più di un ospite, nelle corde, vocali, di Sara Lov dei Devics e Mae Starr dei Rollerball... Ci sono altri personaggi del gotha milanese dell'indie coinvolti su piani diversi nella perfetta riuscita di questo disco, tra cui Bugo al basso e Alessandro Baronciani degli Altro alle grafiche. Contrabbassi, fisarmoniche, archi, qualche, rara, scoria elettronica... Tutto si sottomette al volere della chitarra riverberatissima di Bruno, ma soprattutto si sottomette alle canzoni, strumentali per la maggior parte si, ma sempre canzoni. Belle, che ti rimangono addosso fin da quando vedi o senti i Ronin la prima volta.
Raramente ultimamente ascolto a nastro un disco, dall'inizio alla fine e di nuovo e di nuovo e di nuovo... Questo faccio fatica a toglierlo, come nella peggiore banalità retorica da recensione, e continuo a sentirlo, per puro piacere. Scommetto pure sulla lunga curva di interesse, un ascolto che farò fatica a smettere in tempi brevi.
Chissà se riuscirà a catturare l'attenzione di quella sfera alta della critica musicale italiana, quella che snobba i prodotti che nella nostra sfera terrena sono capolavori, e verrà, giustamente, portato in trionfo? Non credo sia quello lo scopo di gente di questo calibro, ma le conferme appagano tutti, no?

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