Refree - Quitamiedos (Acuarela/Blue Tears, 2002)

Refree è un progetto di Raul Fernandez (già nei Corn Flakes, band indie della scena spagnola nei primi anni novanta) fortemente sentito e personale, con delle sonorità struggenti sempre in linea con lo spirito della label. Una sorta di Nick Drake iberico che fa della qualità del songwriting e dell’intimità delle tessiture i suoi punti di forza. Per di più, in questo lavoro Fernandez si circonda di numerosi ospiti, così che, se il mood del disco è costante, vario è invece lo stile di ogni singolo brano. Se, per esempio, l’intro strumentale Demonillo ricorda i Bedhead, la successiva Ausiente, cantata da Helena Miquel, ha toni più morriconiani e indolenti. Feo Y Malo è un altro grandissimo pezzo, molto evocativo, che sembra ricollegarsi a certo noir pop dei primi Tindersticks, sarà per la voce, questa volta prestata da Abel Hernàndez dei Migala, molto simile a quella di Stuart Staples. Raul canta in inglese, insieme a Helena, nel pezzo forse più bello dell’opera, Mejor Ahora, in cui sembra di sentire l’eco degli Ida più ispirati. Un brano da lacrime agli occhi che non fa che rialzare ancor di più le quotazioni di un album già fantastico. Bolero Sine Querer è un’altra sofferta canzone cantata ancora da Raul questa volta in spagnolo, così come l’abissale Cracovia. Nella spettrale Quitamiedos partecipano invece Jose Luis Aguado (Viva Las Vegas) oltre che Raynald Colom e Llibert Fortuny (due figure di spicco nell’ambiente jazz di Barcellona), con brevi innesti - rispettivamente - di tromba e sax. Per finire, la conclusiva Nadie Para Mar è talmente spoglia da levare il fiato: voce, chitarra acustica e xilofono creano un’alchimia straziante e incantevole che ti colpisce dritto al cuore. Toccante.

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Refree - Nones (Acuarela, 2003)

Che Acuarela mostri qualche segno di cedimento dopo la delusione dell'ultimo Sr. Chinarro? Ne parlavo con Emiliano al telefono qualche tempo fa. Dico questo perchè anche il nuovo lavoro di Refree, uno dei cavalli di battaglia dell'etichetta spagnola, fatica a decollare pur dopo un'ottima partenza. E' troppo presto per azzardare delle conclusioni, e sarebbe anche ingiusto, dopo la sfilza di capolavori che la label ci ha offerto in pochi anni e che Sodapop ha adorato. Normale comunque che i primi fans, al primo scricchiolio, si rivelino i primi detrattori. Si tratta, comunque, solo di impressioni basate su prove in realtà molto effimere. Con Nones (espressione catalana usata nel linguaggio dei bambini) abbiamo a che fare con un album magari non completamente riuscito, ma brutto no: Les Soldats Perdus ed El Reloj sono due delle canzoni più intense mai scritte da Raul Fernandez; Inventario, El Cuarto Deseo e Refree L'Astròleg sono arricchite dalla partecipazione della bella voce di Irene Tremblay (Aroah). Peccato che poi il disco si perda per strada con brani più noiosetti e atmosfere jazzate artefatte. Apro qui una parentesi: Sergio Messina su Rumore sosteneva che il jazz sassofonato e spazzolato è morto già da un pò, imbolsito da un pubblico sempre più vecchio, chiuso e chic e da musicisti in mocassini sempre più settari che credono che tutto ciò che differisca dal loro genere preferito sia roba da ragazzetti. Non posso avallare l'affermazione provocatoria di Messina/RadioGladio, vista la mia ignoranza in materia. Posso dire che, dopo aver assistito al concerto (trascinatovi da mio padre, lui sì un maniaco) di Steve Turre - un guru per gli addetti ai lavori - mi sono sentito imbarazzato. Invece di dire qualcosina di diverso dal solito (siamo nel 2004, per dio!), che ha fatto? Ha fatto l'istrione soffiando nelle conchiglie per un'ora al posto del suo trombone. Se questo è rinnovamento, stiamo freschi.
E anche qui sono poche le novità, nonostante si tratti del secondo album di Raul. Testi da fuoriclasse e accostamenti che, più che dirigersi verso territori indie anglofoni, guardano a Luigi Tenco, al jazz e a realtà musicali europee; tuttavia, nonostante questo e nonostante altri particolari quali la straordinaria cura grafica (i disegni sono di Francoiz Breut), questa volta, come anticipato, il capolavoro non c'è. Ciò che resta è un lavoro che potrebbe spingersi più in là, ma che è destinato a rimanere imbrigliato in uno stile che troppo spesso cade nel clichè.

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