Reading Festival 1999 - Reading, 27-28-29/08/99

Ogni tanto i sogni si avverano: Reading! Tre giorni fittissimi che mettono a dura prova i timpani di chi non vuole perdersi neanche un minuto di musica, oltre alla miriade di bancarelle, la tenda-teatro, i film a tarda notte e molte altre cose... Le scelte tra un palco e l'altro (ce ne sono quattro contemporanei: Main Stage, BBC, Dance, Carling) sono quasi sempre difficili, io ho cominciato col saltare a piè pari le Donnas per vedere i Paradise Motel, band che ha cambiato il proprio sound adattandosi alla crescente moda dell'indie "romantico": risultato mediocre. Di tutt'altra pasta i cafonissimi Apollo 440, che con un set travolgente hanno coinvolto il pubblico del mezzogiorno in balli sfrenati. Carini The Dandy Warhols (soprattutto la tastierista), almeno a detta dello staff di Marstyle, ma la mia attenzione presto si sposta sul palco della BBC, il più interessante, dove Add N To X sorprendono la platea coi suoni prodotti dai loro moog: ronzii affascinanti anche se alla lunga stancanti. Dopo l'indie pop sempliciotto dei Bis, uno dei piatti forti del primo giorno: Guided By Voices, nel pieno della loro svolta Creation, come testimonia un Robert Pollard che ci regala pose da rockstar roteando microfoni e saltando come un ragazzino, in verità un pò sovrappeso...Molto buono il set, durante il quale il leader fa una battuta su Mark E. Smith che sulle prime non capiamo, ma che si spiega tutta quando The Fall cominciano a suonare: testa sanguinante a furia di colpi di microfono (alla fine ne romperà tre!), furti di birre ai danni dei componenti della band, cantato più strascicato che mai indicano uno stato di ubriachezza molesta, evidenziato dai cori delle prime file del tipo "sei ubriaco e lo sai!". Seguono gli Stereolab, che riescono a rendere molto bene dal vivo le loro canzoni, evitando in parte il rischio di risultare noiosi; ho lasciato Stereolab a metà per cause di forza maggiore: l'urlo di almeno 50mila persone sul palco centrale all'arrivo dei Chemical Brothers, autori di un lungo magma sonoro comprendente richiami dai loro singoli più famosi uniti a molto altro materiale, il tutto corredato da immagini stupende mixate in diretta su tre schermi giganti. Un pizzico di vero rock'n roll con Jon Spencer Blues Explosion è così interessante da farmi addormentare, facendomi perdere così gli headliners Charlatans, che da quanto mi è stato riferito hanno ben figurato.
Secondo giorno molto interessante soprattutto sul palco centrale: appena finiti gli schiamazzi di Atari Teenage Riot le Sleater Kinney offrono uno show ben suonato e gradevole, seguite dai rappers The Pharcyde, che sento sgranocchiando un panino perché non posso perdere il trio seguente: Sebadoh e Pavement intermezzati da Beth Orton! Tre ore moolto intense. Lou Barlow e i suoi scherzando e ridendo ci propinano le loro canzoni, mostrando di essere in una fase "non sono più il rocker rumoroso di una volta", facendo infatti rimpiangere a tutti pezzi dai loro album migliori: i più vecchi e i più rumorosi appunto. In ogni caso una performance niente male, anche a sentire le descrizioni di alcuni loro vecchi concerti; segue la spilungona Orton che intermezza il suo cantautorato serioso con barzellette raccontate solo a metà, diciamo che è molto meglio come cantante che come cabarettista! Malkmus e soci completano il trio del cocente pomeriggio mettendo la candelina sulla torta con simpatia, belle canzoni e buon coinvolgimento di pubblico. Dopo una pausa rinfrescante si corre dai Six By Seven, efficaci e molto ben equilibrati tra melodia e volumi alti: a questo punto dopo una pausa ecco il gran finale: Blur! concerto da stadio per degli autentici beniamini, si vede dalle migliaia di persone che saltano cantano e ballano ogni pezzo, vecchio o nuovo che sia. Tutto il loro repertorio, compresi i singoli dell'ultimo disco, l'immancabile Song 2, richiesta a gran voce per circa due ore e la finale Sung tratta da Trainspotting. Contando che quest'ultima è perfino la mia "blursong" preferita, concerto ottimo!
Giornata finale tutta sul palco BBC, dato che sul main stage imperversano i cafoni: Sick Of It All che urlano fino allo spasmo, Pitchshifter (senza strumentazione industriale sono una penosissima metal band), Silverchair e Terrorvision!! Una menzione per due gruppi che si sono esibiti nelle prime ore sul palco minore, Mercedes ed Experimental Pop Band: indie pop inglese di buona fattura, ideale per addentrarsi in un tardo pomeriggio intenso e coinvolgente; dopo i carini Fountains Of Wayne che dopo un pò (poco) si ripetono è l'ora di pezzi da novanta come gli Arab Strap, che con uno show interessante e coinvolgente entusiasmano tutti. Soprattutto il nostro gruppo di fanatici che prima dell'esibizione nota aggirarsi sul palco uno degli idoli di gesso di questi ultimi anni: Stuart Braithwaite dei Mogwai, un autentico nano da giardino col pallino del noise! Il simpatico ometto suona per la gioia di tutti noi nell'ultimo pezzo dei suoi amici Arab Strap, che offrono un'ottimo spettacolo. Dopo le Luscious Jackson, la prova che non tutto quello che toccano i Beastie Boys funziona, arrivano gli Sparklehorse annunciati all'ultimo minuto come sostitutivi degli Ultrasound: un ottimo scambio, anche perché Mark Linkous e i suoi hanno registrato due dischetti davvero notevoli. Purtroppo le aspettative di tutti noi sono state tradite, poichè la band non decolla, soprattutto per lo stato in cui si presenta il loro leader: visibilmente nervoso, annoiato e sfatto si lamenta oltremodo per la sua pedaliera che funziona a singhiozzo, non ha assolutamente voce (neanche quando è effettata), un concerto penoso. Ci pensano gli stratosferici Flaming Lips a dare una svolta alla serata proponendo uno show anomalo: uno schermo alle loro spalle, basso e il batterista alle tastiere(!); anche facendo uso dei campioni lo spettacolo è coinvolgente, si vede subito che sono in serata, dato che Wayne Coyne, mentre i suoi soci preparano tutti gli strumenti, dice al pubblico che occorrerà urlare più del solito per coprire i suoni altissimi che provengono dal palco degli Offspring perché "questo è il vero palco di Reading". Dopo questa frase accattivante si parte: melodie, coriandoli, video bizzarri, pupazzi, stranezze assortite e finale prevedibile ma osannato con She Don't Use Jelly; a questo punto non rimane altro che andare a vedere gli sgoccioli del concerto dei Red Hot Chili Peppers, potenti e in forma come qualche anno fa: con più pezzi lenti rispetto ad una volta, ma ancora coinvolgenti e scatenati.
Ci sarebbero da raccontare storie di fango, patatine fritte, birre, sidro e molto altro, ma la cosa migliore da fare è andare e toccare con mano: sarà alla moda, commerciale, ma rimane pur sempre il miglior festival musicale del mondo!

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