Wallace Fest Pt.1 – 05/03/10 Bloom (Mezzago – MI)

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Giunta all’undicesimo anno di attività la Wallace Records festeggia il decennale (le donne sanno essere davvero diaboliche…) e non può che farlo al Bloom, locale dove Mirko Spino, mente e braccio dell’etichetta, è nato e cresciuto e dove, da quando portava ancora i calzoncini alla Angus Young, è stato educato da alcuni dei nomi migliori del panorama nazionale e non. Due serate, il venerdì e la domenica, dove si esibiscono gli autori delle uscite più recenti e prossime, da Jelaousy Party a Squarcicatrici, dagli X-Mary ai Camillas, fino a Ultravixen e Hutchinson. Stasera, l’unica in cui presenzio, calcano il palco i Leg Leg, nuova creatura di Mattia Coletti, gli austeri R.U.N.I. e i Six Minute War Madness, che oggi rinascono per subito morire. Già prima che si cominci la calca è notevole, segno di quanto il lavoro svolto in questi anni abbia dato i suoi frutti e di quanta sia la voglia di testimoniarlo presenziando (molti hanno fatto parecchi chilometri per essere qui). Ma partiamo con la cronaca, che si fa tardi. I Leg Leg sono i soli a non giocare in casa e durante la loro esibizione il pubblico affolla la sala a macchia di leopardo, con molti sparsi fra i banchetti e il bancone del bar; fanno comunque la loro parte, legleg_al_bloom---------leg--------leg-------------bloomriscattando un album mio parere prescindibile (ma quale disco math non lo è, oggi?), con un concerto teso e dall’impatto decisamente hardcore, con tanto di plastici salti da parte del bassista. Rispetto all’incisione giova la maggior ruvidezza del suono e strutture più aperte, sebbene alcune composizioni continuino a rivelarsi un po’ irrisolte. È comunque proprio di questo genere avere dal vivo l’ideale dimensione espressiva e la mezz’ora di concerto trascorre piacevolmente e senza noia. Chi gioca decisamente in casa sono i R.U.N.I., splendidi nello loro minigonne parrucche e tenute da tennisti fantozziani. La presentazione, caratterizzata dall’arroganza propria delle grandi band, non lascia adito a dubbi “siamo più bravi dei Queen!”. “Ma anche più froci!” è la risposta di qualcuno del pubblico, che inaugura una dialettica che sarà indispensabile per la buona riuscita del concerto. Ora, se li conoscete per averli già visti dal vivo o anche solo per averli ascoltati su disco, runi_al_bloom----------------bloom-------------------bloomcapirete che non è possibile rendere la genuina idiozia di un gruppo che fa apparire Elio E Le Storie Tese una funeral band, idiozia che dal vivo si incarna in parti uguali in svolazzi strumentali, battute da B movie e momenti di cabaret. Concentriamoci dunque sulle frivolezze. Al primo pezzo Roberto Rizzo è subito giù dal palco, con la sua assurda impalcatura porta tastiere, microfono e quant’altro, a ballare fra la gente, al secondo tiranneggia il pubblico costringendolo ad accovacciarsi e alzarsi al ritmo della musica, al terzo lo obbliga a un trenino che avrebbe fatto vergognare anche il Gerry Calà di Professione Vacanze. Ma va così e fra disco funk sparato, scioglilingua logorroici e demenza alla Devo ci si sottopone di buon grado a tutto. Poiché in una sera così non ci si deve far mancare nulla, per l’esecuzione de Il Ballo Del Quaquaraqua salgono sul palco addirittura due coriste; sorprendentemente si tratta di coriste vere e piuttosto avvenenti (ma chi non lo sarebbe, a confronto dei R.U.N.I.?), non la coppia di viados che ci si aspetterebbe da simili menti malate. Inutile dire come il pubblico apprezzi, anche con cori non proprio oxfordiani, questo tocco di femminilità e ciò scatena l’invidia del leader gruppo, che inveisce crudelmente contro la folla. Ma poiché la massa si governa col bastone e la carota, le ragazze sono più volte richiamate sul palco, fino alla delirante W. Sipario e finalmente un attimo di tregua. Cerchiamo di tornare seri, per quanto possibile: il primo concerto dei Six Minute War Madness dopo anni, nonché ultimo in assoluto, richiede una certa solennità. In realtà all’interno del Bloom si respira una certa aria di ritorno a casa, per un gruppo che questo palco lo ha calcato tante volte; la scaletta di stasera, diacronica, è un tributo ad ognuna di esse. Holy Joe e L’Ora Giusta pagano tributo al primo periodo, innescando il pogo in platea, pogo che il passaggio ai pezzi de Il Vuoto Elettrico,smwm-------bloom------------------smwm-------------bloom album su cui ci si soffermerà più a lungo, contribuisce ad alimentare: Test Test, Una Novità, Le Mie Streghe aggiungono solo benzina al fuoco. Nulla sembra cambiato, nel bene e nel male: tanto questi pezzi sono d’impatto ma irrimediabilmente datati nella loro ruvidezza grunge, quanto i più recenti, slabbrati e densi di pathos, rivelano potenzialità e intuizioni ancor oggi notevoli, figurarsi dieci anni fa. È il recitato de Il vuoto elettrico a traghettarci dalle parti di Full Fathom Six, dove ci accolgono Gli Incubi e la violenza di Uomini Cattivi. Per chiudere, unica eccezione all’ordine cronologico, Evensong, poi tutti dietro le quinte. Ma Washington Che Urla non può mancare ed è lei il bis che sigilla la storia dei Six Minute War Madness. Da lacrime. E credo siano occhi lucidi quelli di Federico Ciappini quando saluta e ringrazia tutti; nulla di strano trattandosi di un addio (ma davvero quest’uomo vuole privarci della sua voce e delle sue parole?), ma un addio alla grande, come era lecito aspettarsi. La Wallace invece continua, ovviamente e in attesa delle prossime mosse, non ci resta che augurarle un buon compleanno.