Vuur – Vuurviolence (Shove, 2007)

vuurviolence

Mi spiace che qualcuno conoscendomi possa pensare che io sia scarsamente obiettivo nel parlare di Shove per causa della conoscenza del "conte Piacenza", il punto è che una volta, pur essendo un'etichetta rispettabile e con una buona etica, era ben lungi dai livelli di eccellenza che sta raggiungendo di recente. Cercando di individuare l'epicentro, direi che il tutto è successo qualche tempo fa in n periodo che gira attorno all'uscita degli Encyclopedia Of American Traitors e che in un certo senso ne hanno segnato definitivamente il passaggio alla maturità (perché yankee? No, perché date alla mano erano un gruppo parecchio avanti sui tempi… mon cher…). Bene, i Vuur vengono dallo smantellamento di alcuni gruppi misconosciuti come Hopeman Path, ma in realtà annoverano alcune vecchie glorie del d.i.y. belga, questo tanto per stabilire la veridicità di ciò che diceva la buonanima di mia nonna Jole: "da un melo non nasce un pero". Anarco punk quindi? Sì, ma montato su scorie abrasive alla vermiform, rigenerato dal cadavere dei Born Against (di cui per altro coverizzano Mary And Child ad hoc) ma soprattutto dei sottovalutatissimi Rubish Heap il cui 50% oggi gestisce la Conspiracy/Hydra Head Europe. Meno monumentali rispetto agli ultimi ma molto meno punk e più motosega rispetto al gruppo di Sam McPheeters (che oggi qualcuno conosce per i Man’s Recovery Project). L’elemento mancante della formula segreta è Brema: Acme, Systral, Carol che sia, anche se diminuiti dei loro fattori più metal. Kaos sbavato ma compresso, muro di rumore e voce urlata ma "Brema style" e quindi non da eunuco ma da "terrore, terremoto e traggedia!" (ampliando le T di Atttila). Il CD raccoglie una serie di split e di dischi assortiti che per l’occasione sono stati rimasterizzati e pompati a dovere dal chitarrista degli Amen Ra, il tutto sembra passato dentro ad un compressore e ad un distorsore puntato a dieci. I Vuur lasciano qualche apertura ad arpeggio giusto per poi ridiscendere stile Unni e dopo "non cresce più l’erba" ed in ciò hanno anche il gusto (il culo?) di durare il giusto e quindi il tempo sufficiente per fare tutto ciò che serve, un po' come i giapponesi a Pearl Harbour. Hardcore-punk al fulmicotone con testi politicizzati in stile Ebullition/Vermiform anni '90, anche l'atmosfera è quella stile "la vita è una merda" degna di Groundwork, Downcast o Unbroken che fossero. "Fuoco" di nome (Vuur significa quello) e di fatto, plumbeo e senza speranze come un malato terminale, feroce e violento "come una tigre in una gabbia, non ci resta che urlare!": gran disco.