Torche + Pelican – 04/10/08 Latte Più (Brescia)

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Sperimentiamo oggi un nuovo genere di recensione: la recensione-Memento (se avete visto il film, capirete). Trattando di uno di quei concerti in cui il gruppo spalla surclassa senza appello gli headliner, cosa tra l'altro non difficile da immaginare già prima dell'evento, vista la caratura delle due compagini in campo, mi pare opportuno organizzare la recensione in barba alla reale successione cronologica, assecondando il rapporto di valori che si è palesato, in modo da raddrizzare i torti, ristabilire una decente consecutio logica e realizzare una narrazione che proceda in crescendo verso l'immancabile lieto fine.

Brescia, zona industriale, esterno notte. Saluto i tanti conoscenti, intervenuti da buon parte del nord per la seconda e ultima data del breve tour italiano di Torche e Pelican. Cominciano i primi freddi, ma li sopportiamo volentieri pur di evitare la techno cafona e il disco-rock per sedicenni che impazza all'interno del locale.

Brescia, zona industriale, interno del locale. Quando la musica registrata si quieta i Pelican sono già sul palco, immersi in fumi colorati che fanno tanto Gardaland. Certamente non rientrerebbero nella lista dei miei cento gruppi preferiti, ma un ascolto non si nega a nessuno, tanto più trattandosi di un nome noto del panorama postrock che si esibisce vicino a casa e a un prezzo accessibile; lo so, sono un trendista. Il pubblico, presente in buon numero per i quattro chicagoani, è subito ripagato da cinque minuti di suoni pessimi, con le chitarre sommerse dai bassi e il fonico bellamente a spasso per il locale che ci mette un po' a rimediare all'inconveniente.
pelicanIl salvare l‘acustica non corrisponde comunque a salvare il concerto e questa volta non è colpa dell'uomo dietro alla consolle. Nemmeno è colpa del criticatissimo batterista, che pur non pare troppo a suo agio dietro le pelli. I problemi sono ben altri e investono l'essenza stessa del gruppo: l'esangue post-rock dei Pelican, non riuscendo ad andare oltre la banale successione di riff che si inseguono senza soluzione di continuità né senso apparente, si trascina fra momenti che vorrebbero essere pesanti e non riescono ad esserlo (se non in senso figurato) e qualche rara melodia, potenzialmente vincente e prontamente affossata. Nella loro assoluta mediocrità non sono neppure in grado di tener fede alla fama, già di per sé poco lusinghiera, di versione metallara dei Mogwai, totalmente incapaci di rielaborare, anche minimamente, il già abusato modello di partenza. Sopportare queste masturbazioni sonore per quasi mezz'ora ha per me qualcosa di eroico, poi me ne vado fuori prima che un'orchite fulminante mi impedisca ogni movimento costringendomi a un'ulteriore sopportazione. All'esterno sostano già molti che hanno avuto la mia stessa idea.

Brescia, zona industriale, esterno notte, poi interno del locale. La gente cominci ad affluire per il concerto dei Torche, l'attesa è palpabile. Birre clandestine escono dai bauli delle auto e passano di mano in mano, con i loschi figuri della Brescia Molesta Crew a farla da padroni.
Peccato che quando i quattro americani inizino a suonare, con un certo anticipo rispetto all'orario annunciato, non tutti gli spettatori siano già sul posto, attardati dai lavori in corso sulla tangenziale o dispersi nelle anonime vie del quartiere, senza una minima indicazione stradale su come raggiungere il Latte Più.
torche3Da Miami, Florida, si schierano Juan Montoya (già Cavity e Floor), una specie di Dino Cazares in versione non sferica, Gibson X-plorer e maglietta dei Godflesh (che gli avrei fregato con mucho gusto), Steve Brooks (anche lui ex Floor) chitarra, voce e sorrisi malefici, Jonathan Nuñez, basso Travis Beam, e Rick Smith batteria e maglietta dei Morbid Angel, entrambi in libera uscita dai grinder Shitstorm (un nome promettente, eh?).
La gioiosa macchina da guerra dei Torche impiega un po' a mettersi in moto e la prima canzone va persa fra qualche incertezza e la voce praticamente inudibile; poi si avvia e non ce n'è più per nessuno.
Il suono è un sapiente impasto di stoner e noise anni '90, che le melodie vocali, quasi pop, portano dalle parti degli Into Another del misconosciuto album Seemless. Lo spirito è invece quello del rock'n'roll più selvaggio, allo stesso tempo cattivo e divertito: se avete un cuore e orecchie minimamente allenate non potete non amarli; il cervello lasciamolo alle fantasie masturbatorie dei Pelican.
Il loro set è un crescendo, con la scaletta incentrata sui pezzi del nuovo album, già classici per gli afecionados che li cantano a gran voce, solo leggermente metallizzati rispetto agli originali. Ovviamente è un bene: Sandstorm è ancora più pesante, Healer più veloce, Across The Shield più suadente e tribale. Chitarre si alzano al cielo o oscillano a mo' di mitragliatrici sulle teste del pubblico mentre il batterista, che forse sarebbe più a suo agio in un'antica carpenteria, si alza spesso per percuotere le pelli con maggior veemenza. La carica del quartetto trabocca da ogni nota e si riversa sulla platea: le melodie ci guidano, la batteria fa agitare teste e braccia all'unisono, il groove ci attorciglia le budella; il gesto delle corna torna padrone della scena.
Poi, a tre quarti del concerto, una cesura netta. Cambio di strumenti, con Montoya a imbracciare un'Electrical Guitar Company con manico in alluminio: le armi adatte per l'assalto noise. L'insostenibile pesantezza di Meanderthal (mai nome fu così azzeccato per una canzone di questo tipo) ci porta dalle parti dei Godflesh e quasi allo sfinimento, uno stacco forse un po' brutale rispetto all'allegro procedere precedente. torcheMa è tutto propedeutico al gran finale, pezzi appunto più rumorosi, una deriva helmetiana che riconduce alle atmosfere dell'EP In Return e sfocia nell'apoteosi metal-noise finale, col basso dato in pasto alle ragazze della prima fila e una chitarra gettata fra le mani di alcuni esagitati che la innalzano e la percuotono finché lo spegnimento degli amplificatori non getta la sala nel silenzio.
Non cambieranno la storia della musica, i Torche, ma lasciano un segno profondo su questa serata e sul corpo dello sfortunato pellicano che ha avuto la sventura di incrociarli. In assoluto uno dei concerti più gioiosi degli ultimi tempi: è solo rock'n'roll. E ci piace.
 
Brescia, zona industriale, esterno notte. La gente è poca, il freddo pungente. Saluto gli amici, strette di mano e abbracci. Intorno, tutto è silenzio.

(foto di Elena Prati)