Tindersticks – Across Six Leap Years (City Slang, 2013)

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Sono da sempre un grande fan della band di Nottingham, capace, a mio avviso, di regalare dischi di assoluto prestigio e consistenza. Un lavoro di incredibile qualità per grande parte della carriera che, però, ha notato un calo vistoso negli ultimi anni che ha portato la band di Stuart Staples a pubblicare dischi a dir poco sottotono e incapace di eguagliare la bellezza di capolavori come i due omonimi (1993 e 1995) e del terzo, magnifico, Curtains. La band sapeva maneggiare con grande equilibrio una strumentazione da chamber music raffinatissima e un songwriting pop di alta scuola guidato dalla voce baritonale di Staples. Vi basti pensare che all’università ebbi la bizzosa idea di portare ad un esame la tesina su un disco dei Tindersticks, con grossa sorpresa del professore di Semiologia del testo. Ora, se davanti alle ultime uscite della band inglese ho storto il naso, devo dire che quest’ultimo disco non mi è dispiaciuto. Chiariamo subito, però, che si tratta di ri-registrazioni di brani e materiale già precedentemente pubblicato o dalla band o da Staples in solitaria. Across Six Leap Years (registrato agli studi di Abbey Road) infila alcuni brani del cantante da solista e alcune perle: ok, non ci sono forse i pezzi migliori, ma per quanto diversamente (poco) suonati (la band ha perso qualche pezzo, uno su tutti il formidabile batterista Al Macauley) e arrangiati risulta proprio dura rovinare brani come If You Are Looking For A Way Out, oppure A Night In, anche se, soprattutto in questo caso, si fa preferire la versione originale. Dei primi dischi rimane poco e forse in questo rimane il punto debole della band: l’aver partorito subito tre dischi di eccellente qualità e di aver continuato, pur nella piena sufficienza, con dischi che però non hanno mai raggiunto l’empireo dei primi anni. L’indole sofferente e ombrosa della musica e della voce di Staples rimangono. A volte basta poco, io la sera questo disco lo metterei su, fossi in voi.