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Powerdove – Do You Burn? (Africantape/Murailles, 2013)

Tutti sanno usare almeno un pochino Photoshop. Almeno da profani. Scriverei solo una similitudine per descrivere le sensazioni che Do You Burn? mi ha suscitato: è come mettere il giusto contrasto a un’immagine. L’immagine è lì, ma solo contrastandola al punto giusto amplifichi la sua bellezza,come minimo, la migliori, fai risaltare i colori, i piccoli particolari che prima non vedevi o non erano abbastanza a fuoco. Spero di non sollevare un coro schernente di grafici o comunque gente del mestiere. La voce di Annie Lewandoski, membro del progetto The Curtains e amica di gente tipo John Dieterich (uno dei Deerhoof) con cui ha registrato questo picolo gioiello, ha lo stesso effetto.

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Micah Gaugh Trio – The Blue Fairy Mermaid Princess (Africantape, 2012)

 Jazz, free, songwriting… non vi basta? Bello, bello, bello. Potrei chiudere qui e dirvi di andare a recuperare questo disco, ma forse è il caso quantomeno di presentarvi questo lavoro di un trio costituito da personaggi ben noti nel campo della musica di avanguardia, ricerca, free-jazz di New York e affini. Micah Gaugh alla voce, al piano e al sassofono, Kevin Shea alla batteria e Daniel Bodwell al contrabbasso. È tutta farina del sacco di Micah, che scrive i testi e la musica, e le parti improvvisate ruotano sempre in modo stretto alla struttura dei pezzi.

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Aetnea – S/T (Autoprodotto, 2012)

Gli Aetnea arrivano dal comune di Trecastagni, provincia di Catania, ma non immaginate le “solite” cose in stile Uzeda o Three Second Kiss che spesso sono giunte dal capoluogo e che tanto sono piaciute a noi, a voi e a un po’ a tutti. Quello degli Aetnea sembra piuttosto un tentativo (“estetico”, cit.) di immaginare una via attuale al progressive rock passando dal post rock e dal post metal: musicalmente potrebbero più o meno a grandi linee ricondursi a cose in stile Tool o Isis, come testimonia l’imponente riffone finale di Vartan Dub. Lo sforzo del trio per imbastire canzoni che suonino originali è palpabile, le idee infatti sembrano non mancargli (il clarinetto e il finale tribaloide di Odessus, il sitar di Béla Bartók ad esempio).

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