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Trio Banana – Arthur Dent EP (Bubca, 2013)

La prima volta in cui mi sono imbattuto nel Trio Banana è stato poco più di un anno fa. Erano venuti a suonare in una bettolaccia genovese – che tra le altre cose ora è uno dei posti più alla moda della città – davanti a un pubblico di quattro bifolchi, fra cui il sottoscritto. I “Banani” paladini del garage lo-fi registrato non solo col culo, ma anche nel cesso, suonano come se qualcuno stesse cercando di scorticarli vivi. Urlano e pestano sugli strumenti come dei ferrai incazzati. Il tutto con un barlume di melodia ossessiva e lancinante, che piano piano ti entra dentro il cervello.

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Mombu – Zombi (Subsound, 2012)

Non si tratta del nuovo lavoro dei Mombu, bensì dell’edizione vinilica (con accluso CD) dell’album dello scorso anno, opportunamente rivisto per quel che riguarda mixaggio e masterizzazione e rivestito con una copertina che riproduce a colori invertiti quella d’esordio, riconfermando purtroppo l’odioso font che rende quasi indecifrabili i titoli. Oltre a questo, ci sono quattro novità: sparisce l’intro e arriva un brano nuovo, mentre due vengono arricchiti dalla presenza di ospiti.

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The Hand To Man Band – You Are Always On Our Minds (Post-Consumer, 2012)

La sola parola supergruppo credo faccia mettere mano alla fondina a più di un lettore… e invece questa volta dietro al nome The Hand To Man Band c’è anche della sostanza e non solo una lineup da brividi: Thollem McDonas (pianista poliedrico e attivissimo, suona in Tsigoti, ha collaborato con Stefano Scodanibbio, Nels Cline, Nicola Guazzaloca e mille altri), John Dieterich (mitico chitarrista di Colossamite, Gorge Trio, Deerhoof), Mike Watt (un nome storico… Minutemen, fIREHOSE, Stooges) e Tim Barnes (batterista di Silver Jews, Jim O’Rourke, Text Of Light).

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The Doggs – Red Sessions (Autoprodotto, 2012)

Ancora frastornati dal debutto di pochi mesi fa ecco ritornare questo giovane ed arrogante terzetto milanese per prenderci (di nuovo) a calci nelle palle. La cifra stilistica non si è spostata molto da Velvet Underground e Stooges egli esordi, mentre il suono si è affilato e gonfiato, ma senza far prendere clangore alle chitarre che ancora si infrangono con il riverbero di una televisone dopo la fine dei programmi. Rock americano anni settanta, quasi sessanta aggiungerei, slabbrato, lascivo, sudato come quell’ odore che stagna nelle platee dopo un concerto che ha visto pogare centinaia di anime.

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