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Club Voltaire – The Escape Theory (LaFleur, 2014)

Cinque anni fa quattro comaschi hanno fatto incontrare la loro passione per il sound della Swinging London e l’indie pop e hanno modellato un progetto il cui nome si ispira al Cabaret svizzero dove – nel 1916 – è nato il Dadaismo. The Escape Theory è il primo album dei Club Voltaire, segue tre interessanti ep – l’ultimo dei quali è una rivisitazione in chiave elettronica di pezzi tratti dai primi due – e si propone con una decina di tracce che si iscrivono perfettamente nel mood 60s: ritmi pari e chitarre dai suoni quasi sempre puliti e precisi – ampli Vox docet! -, sintetizzatore q.b. e coretti e intro dal sapore beatlesiano (Weller, oltre ad esser il cognome del padre dell’ondata anni 80 del movimento Mod, sembra una ghost track uscita da Rubber Soul) e piacevolissime trovate che alternano un pop blues-rockeggiante – Don’t!– a una sana impronta più melodica – Back In Time o l’eccellente Friday 3am -.

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Endless Boogie – Full House Head (No Quarter, 2010)

Ecco il vero Quaalude musicale dove dovrebbe abbeverarsi il compianto (nel senso di passato a miglior webzine, non a miglior vita 😉 reverendo Andrea Valentini. Les Paul tirata per il collo come se fosse una giumenta a cui far attraversare la frontiera fino all'ultima goccia di sudore. Nessun prigioniero e nessuno sconto: hard blues sferragliante e sbrodolante che paga pegno tanto ai vecchi Stones quanto a Johhny Winter o Sister Double Happiness. Endless Boogie è tuto questo.

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De Curtis – Baciami Alfredo (Tannen, 2010)

Uno dei rari casi in cui la stupida frase di Frank Zappa "parlare di musica è come ballare di architettura" può avere senso è nel tentativo di recensire dischi come questo; nonostante il gran lavoro di composizione e arrangiamento (o forse proprio per quello) il risultato è un rock'n'roll strumentale a suo modo facile e certamente appagante, che fa appello direttamente all'emotività e all'istinto: ecco perchè l'ascolto varrebbe più di mille parole. Ma in barba al vecchio Frank proviamo comunque a dirne qualcosa.

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Grass Widow – Past Time (Kill Rock Stars, 2010)

Le californiane Grass Widow sono una bellissima sorpresa, pure venendo fuori in un momento in cui il trio al femminile fa breccia e pure troppo per non avere perlomeno dei sospetti. Un suono convincente sin da subito, fresco, fragoroso, orecchiabile e impulsivo come solo certo lo-fi sapeva essere (anche come estetica), con quel pizzico di psichedelia non studiata che farebbe tanto parlare di shitgaze a più di un recensore, ma che poi non saprei quanto ci stia, in realtà. In effetti se piacciono anche a voi Woods, certo surf di marca Man Or Astroman e Vivian Girls questo disco non vi abbandonerà per almeno una settimana, e non è poco.

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