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Kevin Devine – Brother’s Blood (Arctic Rodeo, 2009)

Secondo disco Arctic Rodeo che mi capita fra mani ed orecchie e l'impressione è che si sia sintonizzata su gente più o meno conosciuta del giro hardcore e post-core che si è votata al rock mainstream o fm, in questo senso Kevin Devine non è un'eccezione, semmai una conferma. Ho visto un live di mr. Devine parecchi anni fa in Belgio, ne conservo un ricordo incolore cosa che invece il disco smentisce, anzi diciamo che se il mio ricordo non è viziato dal rallentamento cellulare e da una fine di benzina neuronale allora sì può tranquillamente dire che da quel live Devine ha fatto passi da gigante.

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Bexar Bexar – Tropism (Own, 2007)

Normalmente quando leggo di un disco in cui la chitarra acustica la fa da padrona sono sempre un po' scettico, non dipende neppure dal genere, anzi, a diciassette anni nelle ho scritto a Suzanne Vega. Posto che quella gran donna della Vega non mi ha mai risposto (strano vero?!) la nausea per il genere mi deriva da tutta quell’ondata seguita allo sc-"emo"-core che "minchia, cosa ci vuole… cantautore in cinque minuti pure io!". Se lo sc-emo core non bastasse che ne dite di quelle tavanate cantautorali indie che Simon And Garfunkel, Jackson Browne per non parlare di fenomeni come Buckley (padre) o Drake non avrebbero suonato nemmeno come accompagnamento per andare al cesso?

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Plunkett – 14 Days (Autoprodotto, 2006)

Lascia perdere le tue “10 ragazze per me”. Piuttosto, 14 giorni ti posson bastare? Ne mancano proprio 14 alla fine di questo 2006, eppure ascoltando i Plunkett sembra d’essere nel 1970 perché loro ti ricorderanno Jethro Tull, e non intendo certo l’agronomo inglese del XVIII. Anche se lui, Ian, il componente maschile di questa band a due, inglese lo è. Poi non lo so se fa anche l’agronomo, ma certo è un uomo fortunato (uau! come sono melensa sotto natale), perché ha trovato un’anima gemella che con lui compone, scrive, suona, canta, produce e fa l'editing.

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