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Golden Gurls – Typo Magic (Damnably, 2013)

Non saprei dire se il nome è una storpiatura di una vecchia serie televisiva statunitense ma certo è che il trio di Baltimora, attivo dal 2009, butta un bel macigno nel mio stagno quotidiano. Typo Magic fa paura perchè sembra uscito nel 1993 e, sentite due canzoni (ascoltare lo streaming qui sotto per la riprova immediata), riprende esattamente sia da quelle chitarre melodiche e fuzzy, quasi da plagio nei confronti dei Pavement più grezzi (Tidal) oppure, fate voi, dagli attacchi alla Dinosaur Jr (Kid Tested, Providence).

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Former Utopia – Colapsar EP (Damnably, 2013)

Parte piano questo EP che rappresenta l’esordio di Former Utopia, trio di londoneers che compiono un viaggio in sei tracce. Un piacevole minestrone di voce bassa, sensuale e dal gusto folk che interviene saltando su chitarre acustiche e non, sezione ritmica matematicissima (e già è partito il personale plauso interiore) a oltranza – A Love Like Infinity – che man mano si dipana e riempie lo spazio e le orecchie di qualcosa che parrebbe avere come stella polare la produzione meno elaborata dei Joan Of Arc o, più probabilmente, i primi Pavement (evviva il sacro grezzo lo-fi) – May Day – con svalvoli infiniti della linea melodica che non si capisce bene a dove portino, ma catturano l’attenzione sempre e comunque e, quindi, vincono, e begli arpeggi ricercatamente sbilenchi – Schism -.

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Wussy – Buckeye (Damnably, 2012)

Wussy è un progetto nato nel 2001 a Cincinnati. E’ stato scritto di loro che, dal 2005, anno in cui è uscito Funeral Dress, loro primo album, sono la migliore band statunitense. Ora, è pur vero che stiamo attraversando tempi duri e che anche musicalmente non si scherza affatto sulla quantità di robaccia che esce eccetera. E’ anche vero che io non sono il Signor Christgau, eminente giornalista e critico musicale che ha sparato la positivamente lapidaria definizione di cui sopra. Però, davvero, non mi sembra che Buckeye sia quanto di meglio gli States abbiano prodotto negli ultimi anni. Trattasi di indie rock un pò atipico (o meglio, indie rock nel senso letterale della definizione) che conta alla sezione vocal-chitarristica, oltre a Lisa Walker, Chuck Cleaver (già negli Ass Ponys che erano – nei primi anni ’90 – un qualcosa di similissimo all’anima più pop dei Pavement).

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Cafeteria Dance Fever – Danceology (Hovercraft, 2012)

Garage quasi tipo Cramps. Suoni sporchissimi che in confronto il tradizionale Lo-fi è una roba passata sotto l’engineering di Brian Eno. Voce alta (non forte, proprio alta come tonalità), volutamente poco curata e vagamente stridula al limite del fastidioso. Questo mi dicono da subito i quattro componenti dei Cafeteria Dance Fever, gruppo di Portland – che sta agli States come a noi Berlino, nel senso che da lì esce spesso la roba che poi diventa trendy in un certo giro e nel giro di poco – che non fa mistero di gradire sonorità retrò-casinare come quelle che a loro tempo potevano proporre i Sonics (ecco, diciamo che un classicone come Psycho, magari anche versione live, può dare un’idea).

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