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Heroin in Tahiti – Peplum (Yerevan Tapes, 2014)

Tornano con un 7″ i romani Heroin In Tahiti e tornano pure quelle atmosfere “psichedelizziottesche” di borgata che tanto ci avevano fatto ammirare un lavoro come Death Surf. Se in quel disco era percepibile una forte quanto contaminata influenza spaghetti western, in Peplum poco cambia anche se dal titolo l’attenzione si sposta, qualche anno prima, verso quel sottogenere di film sulla mitologia greco romana prodotti a budget ridotto: la traccia ci riporta a quell’immaginario apocalittico che ha fatto la fortuna del duo, con rimandi a litanie di un ipotetico Morricone inaridito dagli stimoli e inacidito da altre sostanze.

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Robert Lowe: la natura psichica dei licheni

Robert Lowe è recentemente assurto a una pur relativa notorietà grazie alla vicinanza con le doom star Om. In realtà è un musicista di lungo corso, prima come membro dei 90 Day Men (all’attivo tre dischi su Southern all’inizio degli anni duemila), poi come solista, sia a nome proprio che come Lichens, con cui ha inciso una manciata di dischi che combinano ottimamente field recording, psych-folk, suoni acustici ed elettronici. Oltre a questo, è dedito a collaborazioni a 360°, dall’avanguardia al metal, ma non disdegnando nemmeno il quasi mainstream di Get Up Kids e TV On The Radio, con cui ha collaborato in sede live. In Europa al seguito degli Om e per alcune date soliste che culmineranno con l’esibizione al Supersonic Festival di Birmingham, abbiamo approfittato per fargli qualche domanda.

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Philippe Petit – Oneiric Rings On Grey Velvet (The Extraordinary Tale Of A Lemon Girl – Chapter I) (Aagoo, 2012)

Rieccoci ad uno degli appuntamenti annuali con il signor Philippe Petit, che insieme a Fabio Orsi e Gianluca Becuzzi non potrà certo esser tacciato di scarsa continuità, la cadenza regolare con cui stampa materiale ormai è su base semestrale. Quello che mi sembra di notare nell’approccio di questo musicista francese è che pur non facendo mai un disco carta carbone di quello precedente, si sia andato raffinando in direzione di un qualcosa che mantiene sempre forti tinte oniriche e che al tempo stesso attinge a piene mani dalla musica per colonne sonore e dalla classica.

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Ronin – Fenice (Audioglobe/Tannen, 2012)

Riprende la saga dei Ronin, senza un cambio vero e proprio, ma con un lavorio incessante verso uno stile che teme pochi rivali, specie dopo l’acclamatissimo Lemming. Una sorta di album di Matt Elliott, quello, senza che Matt Elliott canti mai (nemmeno Il Galeone). Il progetto di Bruno Dorella affronta, fiero e romantico, la nuova sfida con un cambio di line up, l’ingresso alla batteria di Paolo Mongardi ( Zeus!), e la consueta giostra di ospitate (fra cui: Enrico Gabrielli dei Calibro 35, Nicola Manzan e lo stesso padre di Bruno, Umberto Dorella, all’organetto nell’unico brano cantato, It Was A Very Good Year). Si apprezzano le stilettate di brani strumentali, in ammollo ben bene dentro Morricone e la cultura mediterranea (Jambiya), che trascendono il semplice post rock/slowcore finendo col creare quell’atmosfera unica, quasi vintage, che ben conoscete se avete già ascoltato un disco dei Ronin.

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