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On Fillmore/Pupillo, Kazuhisa, Yasuhiro – Phonometak Series #7 (Phonometak/Wallace, 2010)

Era un da un po’ di tempo che mi chiedevo che fine avessero fatto questi due geni, perché al di là della discografia singola di Glenn Kotche (Wilko, Loose Fur, Bobby Conn etc.) e Darin Grey (Dazzlin Killmen, Bris Glace, You fantastic) il gruppo mi ha sempre fatto impazzire. Per chi non li avesse mai sentiti, si tratta di un duo con una formula tanto semplice quanto intensa. Percussioni e basso, metallofoni, qualche effetto e null’altro, ma in mezzo ci sentirete un groove a dir poco penetrante e un sostrato percussivo di suonini, lamiere, vibrafoni spalmati a tappeto tanto da dare questa strana atmosfera fra jazz, minimal fusion tribale e notturna ed un suono così viscerale da lasciare senza molto da dire.

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Psychofagist – Il Secondo Tragico (Subordinate, 2009)

Se anche avessi avuto dei dubbi sulla statura di questo disco e ripeto "SE" li avessi avuti, il commento che mi ha fatto un amico sulla eccentricità del disco mi avrebbe dato tutte le conferme che mancavano. Il Secondo Tragico è un disco notevole sotto diversi punti di vista: innanzitutto per i pezzi che pur viaggiando alla velocità della luce e nonostante le influenze più disparate non sembrano l'ennesimo clone dei Dillinger Escape Plan (l'influenza c'è ma non è maggiore della quantità di alcool che si trova in molte merendine confezionate), poi per il fatto stesso di mixare grind, Primus, Meshuggah, free-jazz, psichedelia e delicatessen da sangue al naso,  e infine il senso per la malattia ed una autoironia che li porta sempre su quel confine in cui ci si chiede se sia un risultato di dubbio gusto oppure tale da levarsi il cappello in segno di rispetto.

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Meshuggah – ObZen (Nuclear Blast, 2008)

Attesissimo ritorno per la band scandinava che, contrariamente al loro stile, si ripropone in un lavoro lineare e, apparentemente, più digeribile rispetto ai vari Chaosphere e Nothing. Questo non vuol dire carenza d'idee, ma piuttosto un tentativo di sviluppo che predilige l'ossessione all'isterica torsione. Dimenticate quindi le impossibili scale di Escher che li portavano a difficili esecuzioni dal vivo: i nuovi Meshuggah preferiscono l'elettroshock agli psicofarmaci.

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