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Ronin – Fenice (Audioglobe/Tannen, 2012)

Riprende la saga dei Ronin, senza un cambio vero e proprio, ma con un lavorio incessante verso uno stile che teme pochi rivali, specie dopo l’acclamatissimo Lemming. Una sorta di album di Matt Elliott, quello, senza che Matt Elliott canti mai (nemmeno Il Galeone). Il progetto di Bruno Dorella affronta, fiero e romantico, la nuova sfida con un cambio di line up, l’ingresso alla batteria di Paolo Mongardi ( Zeus!), e la consueta giostra di ospitate (fra cui: Enrico Gabrielli dei Calibro 35, Nicola Manzan e lo stesso padre di Bruno, Umberto Dorella, all’organetto nell’unico brano cantato, It Was A Very Good Year). Si apprezzano le stilettate di brani strumentali, in ammollo ben bene dentro Morricone e la cultura mediterranea (Jambiya), che trascendono il semplice post rock/slowcore finendo col creare quell’atmosfera unica, quasi vintage, che ben conoscete se avete già ascoltato un disco dei Ronin.

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Airportman – Letters (Lizard, 2008)

E’ da un po’ che ho questo disco per le mani, e arrivo a scriverne con un grande ritardo. Letters è il settimo lavoro dei cuneesi Airportman e se da una parte, limitandosi ad un ascolto distratto, si potrebbe correre il rischio di giocare subito la facile carta Sodapop del "post rock cinematico e sognante”, dall’altra, entrando più a fondo tra le trame del disco, riconosco che il trio di Cuneo ha dalla sua un gusto molto personale e che di rock, per quanto post, effettivamente non ce n’è traccia.

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