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Eremite – All Things Merge Into One (Taxi Driver, 2014)

Questo è l’album che i Mastodon hanno perso per strada: seguendo infatti un filo cronologico ascensionale avrebbe dovuto seguire Leviathan per confermare la band di Atlanta come miglior extreme rock-act in circolazione. Ma questo non è accaduto. E soprattutto, qui non stiamo sviscerando un disco di Brann Dailor e soci. Fabio Cuomo e Giulia Piras con All Thing Merge Into One, seconda uscita su Taxi Driver, confermano pienamente la propria poliedrica espressività musicale dentro un lavoro dai molteplici stati d’animo e riflessioni, ma che non smarrisce mai il filo conduttore di una struggente disperazione emotiva.

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Zippo – Maktub (Subsound, 2011)

Ennesimo misero tentativo di scimmiottare i Mastodon (ultimi) e tutta una certa tendenza stonerevolutiva che nei sopraccitati, insieme a Baroness, High On Fire ed una manciata di altri è stata in grado di rinverdire un genere sterile e povero di idee fin dalla sua nascita nei primi anni novanta. I nostrani Zippo ci provano, si sforzano, si spremono, attingendo ad una tradizione musicale anni luce dalla nostra che, ovviamente in una band di New Orleans o Savannah ha ragion d’essere, mentre in una band italiana (o almeno in questa) non ce la fa proprio.

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Alchemist – Tripsis (Relapse, 2007)

Giunto ormai al ventennio di attività il quartetto australiano può decisamente considerarsi soddisfatto del proprio percorso e soprattutto del traguardo raggiunto con questo lavoro. Benché tutti musicisti dalle notevoli capacità tecniche e alfieri di un certo progressive metal, i quattro non perdono mai di vista l'attacco frontale di chiara matrice death in particolar modo nel cantato. Tripsis è certamente denso di inserti e sfumature oniriche e sognanti, ma consapevoli dei migliori lavori di Voivod e affini, gli Alchemist cercano di tener ben salda la struttura organica dei pezzi senza perdersi in arzigogoli virtuosistici fini a sé stessi.

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Mastodon – Blood Mountain (Warner Bros, 2006)

L’allontanamento dalla Relapse in virtù di una major non sembra aver intaccato particolarmente la creatività e la furia dell’eclettico quartetto che, al contrario, pur concedendosi inedite apertudei Mastodon re vocali molto melodiche (Pendelous Skin), continua il suo percorso nel tunnel del metal più articolato, strutturato e tecnico. La matrice Death grazie a Dio rimane, ma ponendo maggior attenzione a particolari tessiture: caratteristiche semmai, di un certo progressive anglosassone (Sleeping Giant, Bladecatcher). Il disco resta però godibilissimo e trovo anzi indicativo l’opening act per il tour dei Tool (dai biglietti esosi). Le chitarre non temono mai arzigogolature né avvitamenti, forse poco incisivi nell’ossatura dei pezzi, ma seducenti e sognanti nell’economia dell’intero lavoro, anche questa volta concept elementare. I quattro virtuosi non annoiano mai con i classici onanismi solisti che tanto hanno fatto svalutare il genere, prediligendo invece soluzioni e inserti dal tono più epico o anche classicamente Thrash.

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