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Katharina Klement – Jalousie (Chmafu Nocords, 2012)

Katharina Klement è una compositrice austriaca che nella sua lunga e corposa carriera si è dedicata sia all’improvvisazione che alla scrittura, spaziando principalmente tra la musica contemporanea e l’elettronica; in questo Jalousie sono raccolti sei lavori composti tra il 2009 e il 2012, con piccoli ensemble o in solo: con le idee e i temi trattati qui, altri musicisti avrebbero portato avanti non un disco, ma una intera carriera.

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Gianluca Becuzzi – Nothing Is What It Seems (Silentes, 2011)

Ultima fatica del 2011 per Gianluca Becuzzi questo Nothing Is What It Seems, che viene pubblicato a fine anno da Silentes con una splendida grafica basata su foto di Stefano Gentile e artwork di Andrea Marutti; completa la squadra dei collaboratori Claudio Rocchetti contribuendo con “oggetti sonori” in un paio di brani. Tutto il resto (composizione, produzione e mastering) è a carico di Becuzzi.

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Erdem Helvacioglu – Wounded Breath (Ancourant, 2009)

Altro gradito ritorno, infatti come qualcuno di voi si ricorderà avevamo recensito questo compositore turco in occasione del suo lavoro su New Albion (e scusate se è poco). Viste le credenziali ed il fatto che si trattava di un bellissimo lavoro ero curioso di vedere che cosa avrebbe potuto combinare con questo nuovo lavoro: oltre a non deludere le mie aspettative Erdem Helvacioglu le ha superate brillantemente. Se nel lavoro su New Albion il suono, oltre ad uniformarsi a molte cose dell’etichetta, risultava molto vicino a quello di molte colonne sonore composte da gente di livello, ora il background di musica elettronica del turco emerge prepotentemente.

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Vincenzo Ramaglia – Formaldeide (Autoprodotto, 2007)

A volte mi stupisco del potere del caos mediatico, della scarsa attenzione che viene prestata a certi generi e della mia ignoranza (che quel tizio diceva che "rende forti"), così accade anche che a Sodapop vengano anche inviati materiali come quello di Vincenzo Ramaglia e non lo dico facendo della facile ironia, anzi, il problema è quello opposto, ovvero che il nostro grande capo è tutt'ora oberato di "rock targato Italia", più che di lavori del genere. Ramaglia, per la cronaca è uno che esce dal Santa Cecilia di Roma, lo stesso da cui è uscito quel tizio che si chiama Morricone e tutto sommato si sente, tant'è che state pur certi che si tiene ben lontano plasticoni da quei pianoforti digitali stile Vangelis di quart'ordine (l'originale ha fatto anche dei gran bei dischi) o dalle registrazioni immonde che rovinavano Trovajoli, Piccioni e simili durante gli anni Ottanta.

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