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High On Fire – De Vermis Mysteriis (E1 Music, 2012)

Inarrestabili Matt Pike e soci tornano con il sesto album: ancora una volta un lavoro avvolto dentro una fitta nebbia palustre e malsana. Una sorta di concept, basandosi sulle parole dello stesso Pike, attraversato tanto da vangeli apocrifi (o forse solo fantasy) quanto da una cosmologia alienata, ma sempre suggestiva. Una via di mezzo tra Conan Il Barbaro e Vicki Il Vichingo agli occhi di noi disincantati e cinici europei, ma il fatto che gli High On Fire abbiano ancora cosi tanti estimatori tra gli amanti delle droghe leggere quanto di alcuna dotta intellighenzia musicale fa ben sperare nel futuro della musica contemporanea.

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Gandhi’s Gunn – The Longer The Beard The Harder The Sound (Taxi Driver, 2012)

Il secondo tragico disco (per citare Psichofagist) è sempre un ponte di corde che o fa cadere nel baratro oppure traghetta verso il quadro successivo. Devo ammettere che, in questo caso, non avrei giurato sullo scollinamento del quartetto genovese: vuoi perché lo stoner ormai si ascolta pure sugli ascensori e vuoi perché gli italiani son bravi solo a far canzonette. Mi sbagliavo. Il suono dei Gandhi’s Gunn rispetto agli esordi è nettamente maturato e la voce, bisogna dirlo, è definitivamente calibrata e appropriata per il rock che propone. Nulla da invidiare agli anglofoni.

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Zippo – Maktub (Subsound, 2011)

Ennesimo misero tentativo di scimmiottare i Mastodon (ultimi) e tutta una certa tendenza stonerevolutiva che nei sopraccitati, insieme a Baroness, High On Fire ed una manciata di altri è stata in grado di rinverdire un genere sterile e povero di idee fin dalla sua nascita nei primi anni novanta. I nostrani Zippo ci provano, si sforzano, si spremono, attingendo ad una tradizione musicale anni luce dalla nostra che, ovviamente in una band di New Orleans o Savannah ha ragion d’essere, mentre in una band italiana (o almeno in questa) non ce la fa proprio.

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Alchemist – Tripsis (Relapse, 2007)

Giunto ormai al ventennio di attività il quartetto australiano può decisamente considerarsi soddisfatto del proprio percorso e soprattutto del traguardo raggiunto con questo lavoro. Benché tutti musicisti dalle notevoli capacità tecniche e alfieri di un certo progressive metal, i quattro non perdono mai di vista l'attacco frontale di chiara matrice death in particolar modo nel cantato. Tripsis è certamente denso di inserti e sfumature oniriche e sognanti, ma consapevoli dei migliori lavori di Voivod e affini, gli Alchemist cercano di tener ben salda la struttura organica dei pezzi senza perdersi in arzigogoli virtuosistici fini a sé stessi.

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