L’inglese Damnably continua a seguire le ormai vecchie glorie degli anni novanta e stavolta, dopo avere fatto uscire il suo disco solista The Wishes Of The Dead un paio di anni fa, torna sul luogo del delitto con la nuova uscita di Geoff Farina; rispetto ad allora però la musica è diversa: a questo giro Geoff mette in piedi gli Exit Verse, più legati ai suoi esordi ma non solo. …
Parte piano questo EP che rappresenta l’esordio di Former Utopia, trio di londoneers che compiono un viaggio in sei tracce. Un piacevole minestrone di voce bassa, sensuale e dal gusto folk che interviene saltando su chitarre acustiche e non, sezione ritmica matematicissima (e già è partito il personale plauso interiore) a oltranza – A Love Like Infinity – che man mano si dipana e riempie lo spazio e le orecchie di qualcosa che parrebbe avere come stella polare la produzione meno elaborata dei Joan Of Arc o, più probabilmente, i primi Pavement (evviva il sacro grezzo lo-fi) – May Day – con svalvoli infiniti della linea melodica che non si capisce bene a dove portino, ma catturano l’attenzione sempre e comunque e, quindi, vincono, e begli arpeggi ricercatamente sbilenchi – Schism -. …
Come accennato qualche recensione fa a proposito di Geoff Farina e altre vecchie glorie, la Damnably, in Europa, sta diventando una sorta di parco naturale, una riserva protetta dove nomi più o meno grossi e pionieri del passato del rock indipendente americano (inteso più come genere che come collocazione geografica) a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo, possano oggi trovare la giusta tranquillità per continuare a fare quello che loro riesce meglio, senza cadenze temporali precise e senza nessuna pretesa di reinventare qualcosa, rispetto magari ad altri progetti di più ampio richiamo a cui comunque gli stessi partecipano o continuano a partecipare. …
“Una delle band live più interessanti del panorama londinese!”…Non male direi come presentazione. Ma si sa che i comunicati stampa spesso tendono a puntare alto. Troppo? Punti di vista. Certo, l’album di debutto di questi quattro londoneers che vantano i complimenti di VIPs come Geoff Farina dei Karate e Dick Dale (sì. Lui. Mr. Misirlou) è decisamente suonato bene, voce profonda e slacker – basta sentire la title track -, pezzi che ricordano (neanche tanto vagamente) i Radiohead prima che diventassero un’entità indefinibile (leggisi ‘fino a OK Computer‘) – Cockpit, Arrows – e i Pavement – Leaves – a dimostrazione, tutto sommato, della sicura eterogeneità dei riferimenti musicali dei fratelli Kobayashi, combo anglo-giapponese fondatore degli Smallgang e, nonostante ci siano tracce per me davvero degne di nota – Made In China, Like A Velvet Glove Cast In Iron -, chissà perchè il loro lavoro non riesce a trasmettermi più di tanto. …
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