The Star Pillow – Invisible Summer (Midira, 2017)

Mi chiedo come Paolo Monti trovi il tempo per combinare le mille uscite discografiche (proprie e in compagnia, ultima Daimon con Simon Balestrazzi) e le date come The Star Pillow (di recente ha girato il nord Europa con Sarram, l’Italia settentrionale in solitaria ed ora è di nuovo in partenza) con gli impegni di una vita normale; evidentemente quando si è in uno stato di grazia i modi (immagino non senza fatica) si trovano ed è quindi inutile farsi domande. Utile invece è immergersi in questo nuovo lavoro che conferma come il nostro nell’assoluta solitudine abbia trovato una dimensione ideale: delegata alle collaborazioni la ricerca di strade e soluzioni diverse (il sodalizio con Bruno Romani prosegue dal vivo dopo l’ottimo disco su Setola Di Maiale) Monti continua ad indagare i territori fra ambient e folk-drone con una preponderanza, in questo caso, del primo elemento. Non ci sono apparenti novità rispetto alle prove precedenti, The Star Pillow si muove intorno a un nucleo fondante indagandone ogni aspetto in modo sempre più approfondito e spostando il proprio baricentro in modo quasi impercettibile ma continuo. Stavolta è il fattore durata ad essere centrale: su quattro pezzi uno supera il quarto d’ora e due si aggirano sui 25 minuti componendo una trilogia dell’Invisible Summer (Inconsistency Of June, While You’re Sleeping In July, Under The Thin Ice Of August) da cui si stacca solo il conclusivo The End Is A Beginning. Così le chitarre si spandono placide e minimali – solo a tratti qualche asprezza e rumore increspano la superficie – mettendo in luce una caratteristica che non è mai stata così evidente: questa non è musica per viaggiare, non si muove con moto rettilineo e sinuoso, serve per meditare e si diffonde per cerchi concentrici partendo da un punto in cui dobbiamo porci; non richiede semplice abbandono, dobbiamo fare uno sforzo per connetterci a lei; non possiamo chiederle di trasportarci ma dobbiamo essere noi a sincronizzare il respiro con le sue cadenze. Evidentemente non è facile e se qualcuno si farà sopraffare da un senso di noia, finanche di fastidio, non lo si potrà biasimare ma è perché questa non è musica per tutti. Non è questione di essere snob, è più una faccenda filosofica: lo zen e l’arte di immergersi nell’estate invisibile. Quando ne usciamo ci si presenta uno scenario affatto diverso: The End Is A Beginning si colora di toni più scuri e vibranti ma sa anche essere elegiaca e sporcarsi di distorsioni drone-rock, lontana da quanto ascoltato finora ma decisamene ispirata. Che sia semplicemente una degna chiusura o l’annuncio di una nuova fase al momento non ci è dato saperlo, ma se la frequenza delle uscite rimarrà questa non ci vorrà molto a scoprilo.