Simon Balestrazzi – Early Works (1979–1982) (Azoth, 2016)

Quello che vedete in copertina può sembrare un registratore a nastro ma non lo è: è una macchina del tempo che ci permette di tornare alle origini della carriera di Simon Balestrazzi, agli anni che hanno preceduto la formazione dei Kino Glaz e dei T.A.C., progetto che sicuramente deve qualcosa alla musica che ascoltiamo in questa raccolta. La storia di come è giunta fino a noi non così è insolita ma è comunque interessante: durante una visita alla casa materna Balestrazzi ha riscoperto, in una scatola del piccolo chimico (!), una serie di cassette contenenti le prime esperienze sonore registrare fra l’estate del ’79 e l’inverno dell’82. Un ritrovamento del genere porta inevitabilmente un’onda di emozioni – nella forma di ricordi di persone, situazioni, oggetti – che noi da fuori possiamo solo intuire (magari leggendo le esaurienti note di copertina) ma che l’ascolto riesce a farci condividere almeno in parte. I primi cinque pezzi che troviamo andavano in origine a comporre Album Nero, una cassetta distribuita agli amici in una manciata di copie, i restanti quattro sono un primo tentativo di analisi critica del proprio lavoro, provenendo da un nastro del 1984 che raccoglieva composizioni degli anni precedenti. Quella di Early Works è materia nemmeno troppo grezza che denuncia gli ascolti dell’epoca nelle fonti utilizzate (alcuni dischi della serie Nova Musicha della Cramps) e prende la forma di un industrial che già guarda al post, totalmente al passo coi tempi, senza contare che ascoltato col senno di poi mostra i germogli di sviluppi allora probabilmente poco prevedibili. Lo spirito di ricerca che anima il tutto è evidente in particolare nella quantità di soluzioni che vengono tentate con risultati talvolta eccessivi, come nell’estenuante Autoritratto Con Teschi – un fiume in piena che per venti minuti trascina con sé voci sussurrate e distorte, canti operistici, dialoghi radiofonici, suoni di varia natura e provenienza – altri decisamente buoni. Fra gli episodi migliori annoveriamo Enfants Menacés  coi suoi spigolosi cut up che giustappongono rumore e melodia, Loplop con gli intricati loop di elettronica e voci a far da base per le incursioni di un violoncello dal sapore decisamente avant e Strange Birds caratterizzato da un suono quasi sinfonico pur nella ruvida pesantezza industriale. Ma al di là del pregio delle singole parti, quello che conta veramente è il valore di un simile disco: per i completisti e i filologhi una testimonianza preziosa dei primi passi di un musicista che ha militato un alcuni dei gruppi più importanti della scena post-industriale italiana (e non solo), per tutti l’opportunità di respirare l’aria di un’epoca indubbiamente vitale per la musica di ricerca dove il farsi forte dei propri limiti, tecnici in primis (buona parte del materiale è suonato e registrato con strumentazione domestica, non professionale), rappresentava un valore aggiunto alla bontà delle idee: vero artigianato sonoro, nel senso più alto del termine.