Sigillum S + Hate & Merda + P.U.M.A – 16/04/2016 Lo-Fi (Milano)

In un periodo assai scarso di serate mondane è logico che il muoversi avvenga per eventi significativi. E a cosa si addice questo aggettivo se non al concerto del trentennale dei Sigillum S al Lo-Fi di Milano? Da buon provinciale arrivo che il locale è ancora semivuoto, gli indigeni sono ancora tutti a casa, ma ho così il tempo per ambientarmi, bere qualcosa e man mano che il posto si riempie, far due parole con gente che non vedevo da tempo, segno che l’evento è giustamente sentito.
In realtà le parole si dilungano e mi fanno perdere i due act d’apertura. Delle ambientazioni claustrofobiche di P.U.M.A. sento giusto l’inizio, di Hate & Merda, affiancati in qualche pezzo da Matteo Bennici, posso solo parlar bene per sentito dire, specie riguardo alle parti più serrate. Sono le prime note di Sigillum S ad azzerare le chiacchere e a stipare la sala al punto che fatico a guadagnare una posizione da dove godere lo spettacolo: Eraldo Bernocchi e Paolo Bandera si piazzano dietro a un tavolo intasato di macchinari e strumenti che da sotto il palco possiamo solo immaginare, più avanzato sulla sinistra è l’ospite Bruno Dorella (Ovo, Bachi Da Pietra) con un set di percussioni e drum machine. Si comincia. Cosa aspettarsi dal concerto del trentennale – se la hate and merda liveriproposizione di cose passate o qualcosa di nuovo – è quesito ozioso, spazzato via dall’attitudine “qui e ora” che fin da subito segna la serata. Le prime sensazioni sono puramente fisiche, con le frequenze bassissime che mi investono sollecitando più il tatto dell’udito: il suono mi penetra nelle narici, fa tremare le gambe, attorciglia lo stomaco; il prosieguo sarà, in puro stile Sigillum S, un flusso sonoro controllatissimo eppure trascinante che, il giorno dopo, ritroverò nei solchi della monumentale triologia Non Serviam; dal vivo però, inutile dirlo, è tutt’altra cosa. Nella prima parte veniamo esposti a un dub plumbeo e lentissimo che trascina giù, assecondando le immagini (a cura di Petulia Mattioli) che scorrono sullo sfondo, una sequenza di strutture che collassano sovrastate dalle sagome nere dei musicisti. Emerge il lato più tellurico del suono dei Sigillum S, come se la sala del Lo-Fi, già di per sé un po’ claustrofobica, fosse un ascensore che scende verso le viscere della terra: se uscendo a questo punto mi ritrovassi in uno scenario da Viaggio Al Centro Della Terra non mi stupirei Più di tanto. Ma nella natura di un suono così denso e magmatico è anche il sigillum s liveraccogliere nel flusso suoni di natura diversa per ricondurli verso la superficie. Così, nella seconda metà, le atmosfere sono leggermente meno cupe e a tratti quasi spaziali: compaiono strumenti a fiato etnici, rasoiate di suoni sintetici, ritmi che oserei dire danzabili sottolineati dalle movenze di Bernocchi (Bandera, disciplinatissimo, passerà tutto il tempo curvo sulle macchine), addirittura la voce (sovr-)umana – ora melodica, ora belluina – portata in dote da Lorenzo Esposito Fornasari che compare verso la fine, collocandosi sul lato destro del palco. Quella che nell’arco di un’ora i Sigillum S di fanno vivere è un’esperienza di rara intensità alla quale si assiste come ipnotizzati, tanto che non colgo – almeno dalla mia posizione piuttosto avanzata – nessuno spostamento di pubblico: chi c’è ci rimane fino alla fine. Quando tutto termina, dopo un breve bis, il silenzio segna un brusco ritorno alla realtà, la sala si svuota rapidamente, ma le espressioni che si leggono sui volti riversatisi all’esterno testimoniano che lo spettacolo a cui si è assistito ha avuto poco di ordinario: una festa di compleanno che ci ha portati ben più in là rispetto ai trent’anni celebrati, per proiettarci poi infinitametne avanti.

(foto in homepage di Stefano Oflorenz)