Senyawa – Alkisah (Artetetra/Communion, 2021)

Per celebrale l’inizio del secondo decennio di attività, il duo indonesiano dei Senyawa dà vita a un progetto ambizioso appaltando, diciamo così, la produzione del nuovo album a una quarantina di etichette sparse fra il Nord America, l’Europa, il Medio ed Estremo Oriente e l’Oceania; non una classica coproduzione, più un franchising che garantisce la diffusione della loro musica su scala globale, ma valorizzando il locale: per l’Italia gli agenti di zona sono Artetetra e Communion che stampano l’album su cassetta e rafforzano la felice formula ideata dal gruppo affiancandola a un album digitale di remix e reinterpretazioni ad opera di sedici musicisti italiani, fra cui Mai Mai Mai, Tetuan, Nicola Ratti, Freddie Murphy e Chiara Lee (ex Father Murphy). Anche se non conoscete i Senyawa, da queste poche righe dovreste aver intuito quanto per loro la musica sia un elemento che sgorga da un humus fatto di consapevolezza politica pensata e vissuta fuori dagli schemi, attaccamento alle radici, creatività e volontà d’azione. Così, nel loro suono, la presenza dello spirito e delle usanze locali, rappresentati da strumenti tradizionali e melodie, è l’elemento caratterizzante che va a costituire una struttura su cui si intessono elementi metal, elettronici e drone, il suono dei tempi: non paccottiglia terzomondista abbellita da orpelli moderni ma musica dai forti connotati etnici che, senza rinunciare alla propria, definita identità (o, più probabilmente, proprio in funzione di questa) sa dialogare proficuamente col presente, in una perfetta coincidenza di forma e funzione. E parlando del presente, in questo album Wukir Suryadi E Rully Shabara mettono in scena quella che potrebbe essere un’antica favola morale, parole che provengono dalla notte dei tempi e che ancora oggi sanno parlarci (Alkisah significa infatti “c’era una volta”): alle prime avvisaglie della fine, un gruppo di persone si trasferisce all’estuario di un fiume con l’intenzione di costruire una comunità fondata su valori nuovi e migliori, capace di sfuggire all’apocalisse. Le cose evolvono però rapidamente in negativo e la società ideale si trasforma in un sistema peggiore di quello a cui pretendeva di sfuggire; la rivoluzione che scoppia è vittoriosa ma tardiva: la fine arriverà comunque. Questa narrazione è accompagnata da una musica che, per darvi una vaghissima idea, potremmo descrivere come gli Einstürzende Neubauten di Halber Mensch in salsa sudestasiatica, ma in realtà l’album vive di momenti diversi, ognuno adeguato al tono del racconto, dal metal scarno e tribale di Menuju Muara al folk sui generis di Kabau, per giungere alla tensione dronante di Istana e alla malinconia pulsante di Alkisah II, senza che mai venga meno la forte impronta stilistica propria dei Senyawa. Tuttavia, per farsi un’idea completa di cosa sia Alkisah bisogna allargare lo sguardo fino a comprendere tutti i livelli e gli aspetti di un progetto in cui idee, suoni e pratiche formano un’unità inscindibile. La storia messa in musica ci parla dell’inutilità delle rivoluzione comunemente intese, destinate solo all’affermazione di una nuova forma di potere, ma critica anche, ci pare, un certo pensiero scioccamente snob ed elitario. Sono dunque necessarie delle idee e un’analisi radicale che portino a un nuovo paradigma e qui, per i Seniawa, pensiero e azione coincidono e corrispondono all’iniziativa di diffondere l’album con le modalità che dicevamo all’inizio: un’idea multipolare e orizzontale che, in tempi do multinazionali tollerate, se non apertamente supportate, per opportunismo e dabbenaggine, rappresenta un’alternativa, un’utopia in embrione che trova una prima, concreta realizzazione.