Scout Niblett – 20/11/10 Interzona (Verona)

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Ammetto di essermi mosso, questa sera, dietro pressione di vari amici che avevano tessuto le lodi di Scout Niblett e solo dopo essermi accertato non si trattasse di indie pandistelle. D’alta parte, essendo la collaborazione con Will Oldham il lavoro che più mi viene nominato, non sono per nulla preparato a ciò che avrei sentito e forse non ero il solo: il pubblico numeroso, testimonianza di uno zoccolo duro di fans, arriverà a scaldarsi solo sul finale, quando arriveranno le canzoni vere e proprie. Ma andiamo con ordine… Sale sul palco sola la Niblett, per quanto la presenza di una batteria incustodita lasci supporre futuri sviluppi. Per ora comunque c’è solo lei, che saluta con un apparentemtne timido “hi” e subito lascia campo alla voce acutissima e alla chitarra dalle cadenze scout_niblet_interzonaipnotiche, dando forma a un folk fuori dagli schemi che si direbbe più di matrice inglese che americana. Poi è il turno di un lungo pezzo dall’incedere drammatico che alterna vocalizzi e schitarrate hard, prima che si faccia finalmente avanti il batterista che completa l’organico, senza tuttavia imprimere alcuna particolare svolta alla serata: si limita a supportare, ora con percussioni delicate, ora pestando senza complimenti, tanto i pezzi rock quanto quelli più folkeggianti. Quello che viene fuori, ora in forma un po’ più compiuta, è una specie di folk-sludge (?), canzoni minimali e sporchissime con lunghe e lente parti strumentali, musica sgraziata ma forte della propria irregolarità. D’altra parte, cosa aspettarsi da una tipa che si presenta in braghe slavate e gilet fosforescente, passa le pause tra un pezzo e l’altro a scarnficarsi un dito coi denti, a fare stretching o a chiedere al pubblico se ci sono domande? È un pacchetto da prendere o lasciare in toto e a questo punto non c’è dubbio che valga la pena prendere. Meno notevole è invece la seconda parte del concerto, marcata da una performance della nostra a batteria e voce con cui esegue una medley aperta e chiusa da un’agghiacciante versione di We Are The World, cantata senza troppa convinzione da parte del pubblico. È quindi il turno di una serie di canzoni più normali, probabilmente le hits a giudicare dall’approvazione dei presenti, belle ma senza la particolarità che caratterizzava le composizioni suonate in precedenza, così come per nulla memorabile è la rispettosa cover di Josephine dei Magnolia Electric Co.. Si è a questo punto appena oltre l’ora e qui si chiude, appena in tempo perché il bilancio resti positivo: da neofita, cominciavo ad annoiarmi.