Renato Cantini – Neverwhere (Even, 2010)

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Krishna sia lodato, non solo per i dolcetti gratis ai concerti degli Shelter di tanti anni fa ma anche perché lui o qualcuno per lui ha fatto sì che oltre alle tonnellate di immondizia pseudo-pop indie di quart'ordine, musica alternativa italiana mal fatta e metal cross-over che manco alla recita della scuola, ogni tanto riceviamo qualche bel disco da perfetti sconosciuti. Renato Cantini forse non vi stravolgerà la vita e per di più è immerso fino alla punta dei capelli nel jazz, ma ce ne fossero.
Si tratta di jazz melodico ma allo stesso tempo freddo che mi ricorda alcune delle cose tardo-elettriche di Miles Davis (il mio periodo preferito) che in modo diretto o indiretto ha influenzato parecchio questo lavoro visto che quel suono quasi freddo ma ultra viscerale, notturno con quel tanto di elettrico ed elettronico sarebbe piaciuto anche a quello che era ancora un buon Marcus Miller. Allo stesso tempo pur trattandosi di un disco a suo modo relativamente tradizionale si veste di suoni (e credo di influenze) di una parte del catalogo ECM (penso ad alcuni lavori di David Torn meno sperimentali tanto per citarne uno). Si tratta di un disco molto ascoltabile tanto che l'ho messo in ripetizione varie volte mentre facevo altro, allo stesso tempo non perde nessun tipo di finezza per rendersi forzatamente facile, infatti il lavoro di arrangiamento dà l'idea di essere stato in funzione della canzone e non per puro tecnicismo come spesso accade in molti lavori. Trombe davisiane, chitarre, percussioni e batterie molto lisce, basso caldo e avvolgente come richiesto dal ruolo e soluzioni classiche fatte con gusto e sobrietà. Un disco molto da manuale ma molto piacevole.