Rara Avis – Mutations/Multicellulars Mutations (dEN, 2013)

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Prendete Stefano Ferrian al sax tenore e soprano, Simone Quatrana al piano, Luca Pissavini al contrabbasso e SEC_ ai nastri ed elettronica: quattro bei nomi del giro impro italiano, attivi in un ambito che va dal jazz all’elettronica. Ora aggiungete un fuoriclasse con Ken Vandermark coi suoi sax baritono e tenore e provate a immaginare cosa possa saltar fuori da un progetto come Rara Avis.
Non è facile, lo ammetto. La carne al fuoco è tanta, gli ambiti di competenza i più disparati, ma il modus operandi dell’ensemble è tale da permettere a tutte le varie componenti di confluire in un solco al contempo organico e vario, senza sacrificare la fruibilità: assente una sezione ritmica designata e  azzerata ogni gerarchia fra gli strumenti, tutto viene ricostruito su basi nuove, liberi da ogni sovrastruttura, mentale in primis. L’improvvisazione è il campo di gioco che è stato scelto, il jazz lo stile prevalente, ma è reso in una forma talmente libera ed aperta che si compenetra senza problemi con elementi di elettroacustica e musica concreta. Nascono così sei brani che si prestano ad essere fruiti come un’unica, lunga traccia, che passa da momenti minimali ad altri più densi e nervosi (Natural Selection, Speciation), da melodie malinconiche (Gene Flow) ad accelerazioni serrate che sfociano in liberatorie orge strumentali (Mutation). Più che la forza muscolare i musicisti preferiscono però mettere in evidenza la complessità e bellezza della trama, senza trascurare una sensibilità melodica che, pur occultata da strutture poco convenzionali, è uno degli elementi più caratterizzanti dell’ensemble: quella di Mutations è musica anarchica nel senso ideale e più pieno del termine, dove la libertà assoluta non scade mai nel caos fine a sé stesso. Ma i Rara Avis non si fermano qui: c’è un secondo CD, Multicellular Mutations, dove i cinque si associano liberamente in forma di duo o terzetto e vanno a battere ancora nuovi percorsi. I brani sono sempre sei, ma decisamente più brevi dei precedenti: si apre e si chiude con un duetto tra Ferrian e Vandermark, che dimostrano ottimo affiatamento sia quando c’è da dare libero sfogo agli strumenti sia con atmosfere più soffuse, mentre nel mezzo si sperimentano tutti le possibili combinazioni e stili, dalle schermaglie elettroacustiche fra l’americano e SEC_ al jazz dal sapore classico del terzetto Vandermark/Quatrana/Pissavini, segno che l’ensemble non si preclude nessun tipo di linguaggio. In definitiva siamo al cospetto di un progetto complesso e affascinante che, com’è naturale, troverà la massima compiutezza dal vivo, ma che anche su disco riesce ad essere pienamente appagante: ad ogni ascolto rivela sempre nuovi aspetti e sfumature.