Putan Club – 10/04/10 Le Tits (Brescia)

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A un solo giorno di distanza da Amaury Cambuzat coi suoi Ulan Bator anche il cugino Francois (già Gran Teatro Amaro e L'Enfance Rouge) si trova a transitare per Brescia col suo Putan Club, progetto per musica e immagini (a cura dell'artista fancese Vincent Fortemps) che, secondo le loro stesse parole, "è stato ideato come una cellula di resistenza, caratterizzata da un modo di agire ispirato ai primi complotti di partigiani europei durante l'ultima guerra mondiale (azioni di forza in luoghi diversi e vari) e di partigiani irakeni, afgani o ceceni odierni". Il luogo prescelto stasera è l'arci Le Tits, a due passi dallo stabilimento Iveco. A dirla tutta il duo, affiancato a un certo punto da Gerth, sballatissimo sessantaseienne americano che canterà una Danny Boy splendidamente fuori tempo, più che un feroce manipolo di mujaheddin sembra una ristretta corte dei miracoli. Nulla di male, stasera è proprio quello che serve. Sul palco buio Cambuzat, voce, chitarra e loop station, prende posizione a sinistra, seduto, con alle spalle la proiezione curate da Fortemps, seminascosto dagli amplificatori e che putan_club-----------------------------le_titsconcluderà la serata sporco di colore nero fino ai denti, letteralmente. Questo perchè i disegni sono realizzati al momento su un foglio di acetato di cellulosa con inchiostro che viene steso e poi maneggiato, graffiato con delle punte, mosso con degli stracci, mischiato con materiali vari a seconda di ciò che la musica ispira. Così, il rude inizio Neubauteniano, fa vibrare la superficie cosparsa di grani di zucchero al ritmo dei battiti sintetici e della chitarra violentata, mentre a una blasfema narrazione di ambientazione invernale è accompagnata da un livido paesaggio espressionista che, a seconda del posizionamento della luce, varia da positivo a negativo e viceversa. Senza nulla togliere al cantautorato punk di Cambuzat, ricco di suggestioni che rimandano all'ultima produzione de L'Enfance Rouge a cui si sommano loop e campionamenti, è questo l'elemento di maggior interesse della serata, un po' per la curiosità che suscita e molto per la bontà con cui è realizzato. Il mutare delle immagini aggiunge profondità alla musica e ne moltiplica i significati, in una dialettica in cui nessuno dei due elementi è subordinato all'altro e finendo anzi per essere reciprocamente funzionali. Dopo la versione di Danny Boy di cui si è detto e un finale al limite del rumor bianco, dove frammenti di canzoni pop si accavallano a campionamenti di voci, battiti elettronici e distorsioni, il bis è appannaggio di un pezzo più canonico e di una lunga coda registrata del Canto V dell'Inferno, che scorre mentre gli artisti si ritirano dietro le quinte. Uno spettacolo raro e ispirante, a cui le parole, più del solito, non possono rendere giustizia.