Picore – Assyrian Vertigo (Jarring Effects, 2012)

picore

Concettuale e ostico, il sestetto francese Picore si immerge con l’album Assyrian Vertigo in una sorta di delirio in musica che dipinge tra storia e fantasia le gesta e le imprese del feroce popolo degli Assiri, assetato di conquista e famoso per non lasciare nulla di vivo dopo il suo passaggio. Il suono è frutto di continui ripensamenti (c’è voluto un lustro perchè la band fosse finalmente entusiasta del risultato): destrutturato, finito e rifinito, un disco strumentale che rifugge dai facili riferimenti per assumere un’identità tutta sua. L’iniziale Ziggurat può portare subito alla mente gli Shellac in preda ad un delirio tribale, mentre le corde rimangono sempre tirate e pronte a spezzarsi, mentre la successiva Meure Menace si lascia andare una una psichedelia dai connotati trip hop. La voce off di Audace (devo dire che fa accendere troppe volte la spia “attenzione! intellettualismo post rock salottiero!”), che compare comunque spesso e fastidiosamente anche in Equus, su tappeti di psichedelia cosmica e scura, rende l’atmosfera alquanto inquietante. Sostanzialmente tutto il disco è connotato da toni drammatici e minacciosi. Nonostante un gran lavoro in fase di registrazione e missaggio, l’album sembra non uscire mai davvero da un’atmosfera di plumbea sperimentazione, che a onor del vero non porta mai da nessuna parte: il brano – nomen omen – Fiasco e l’assetto industrial macchinioso del pezzo non fanno che confemare quest’impressione. Viene proprio da dire che qui, stringi stringi, di ciccia ce n’è proprio poca, tanto che persino l’epopea feroce e tragica che si vuole rappresentare rimane lì a mezza via senza che si respiri mai qualcosa di davvero epico (per fare un esempio di un approccio diametralmente opposto: con pochissimi e poverissimi mezzi il concept Mount Eerie, ultimo disco a nome Microphones del 2003, fa impressione per livello mistico e la potenza evocativa in cui trascina l’acoltatore). Questi, insomma, sono quei compiti a cui sia dà sempre la sufficienza più per lo sforzo, enorme, che per la poca resa. A meno che non si voglia essere davvero cattivi.