Paolo Bellipanni – Radiance (Eklero, 2020)

Paolo Bellipanni abbandona la vecchia ragione sociale K’an, con la quale lo avevamo conosciuto ormai sette anni fa, e (ri)esordisce con un album a proprio nome: Radiance non taglia i ponti con quanto fatto ma sviluppa verso una forma ancor più coerente le intuizioni del precedente Babel del 2016. Mi pare possa dunque rimaner valida l’idea di un suono post-Warp, definizione inevitabilmente vaga ma che, di contro, ha il vantaggio di non porre troppi paletti stilistici, identificando al contempo uno spirito ben preciso: la forma delle composizioni è libera, ma confinata in durate mai eccessive (mediamente ci si attesa intorno ai tre minuti e mezzo), mentre il suono, sebbene di primo acchito appaia prevalentemente sintetico, è in realtà costituito, in buona parte, da fonti analogiche. In tutte le 13 tracce l’elettronica fornisce la cornice e dà forma a strutture all’interno delle quali acustico, elettrico e sintetico coesistono senza gerarchie mentre i soundscape – ormai sempre più spesso stilemi abusati e vuoti – vengono limitati e utilizzati a seconda delle necessità espressive. Nasce così un lavoro vario – coeso grazie alla scelta dei suoni – dove il musicista non si nasconde dietro agli strumenti tecnologici ma li utilizza combinando organico e inorganico, ragione e istinto (si ascolti la fisicità a stento imbrigliata di Blood Radiance III). Non ci sono riferimenti a immaginari particolari, né possiamo parlare di musica evocativa: Radiance trova la ragione d’essere in sé e nella ricerca di un equilibrio fra le sue varie parti, ricerca riuscita che porta a brani come Blood Radiance I, dove si contrappongono suoni scintillanti e metallici ad altri sporchi e materici, crescendo fortissimi – quasi classici – ad attimi di quiete ambient, Violet Violent, che fa convivere archi dissonanti, chitarre acustiche e esplosioni di ritmi noise e Sharing Demons, coi suoi toni da colonna sonora horror. È proprio nella creazione di uno spazio dove la tecnologia non è fine ma mezzo per la costruzione di strutture significative e lontane da ogni manierismo che risiede il senso di un album che rappresenta il punto di arrivo di un lavoro durato anni: musica per il tempo presente.