Paolo Angeli – Sale Quanto Basta (ReR/Off Set/Arti Malandrine, 2013)

paolo_angeli_-_sale_quanto_basta

Anche se dal giorno dell’uscita è passato qualche tempo non è troppo tardi per parlare del nuovo lavoro di Paolo Angeli: l’estate porta aromi di Mediterraneo anche nei luoghi più lontani dal mare e un disco del genere è la colonna sonora ideale per viaggiare, anche solo con la fantasia. A guidarci il suono della chitarra sarda preparata, oggetto interessante da vedere, nella sua commistione fra antico e moderno, ma ancora più incredibile da ascoltare, per il suo concentrare nello spazio di un solo strumento le potenzialità di un’intera ensemble.
È certamente questo il lavoro più compiuto di Angeli, dove la pura ispirazione si incarna senza attriti in un suono in cui modernità e tradizione sono inscindibili, alfabeto di un nuovo linguaggio quanto mai necessario, non solo per raccontare il mondo, anche per ricrearlo. E sebbene si tratti di musica prevalentemente strumentale (con la sola Primavera Araba a fare da significativa eccezione) il messaggio arriva forte e chiaro. L’idea che sta dietro a questo disco è quella di una tradizione vista non come canone e costrizione, ma come ricco repertorio a cui attingere elementi da combinare in nuove forme. Nulla in Sale Quanto Basta ci appare estraneo, i suoni acustici e le melodie, così come certe asprezze ottenute con l’ausilio dei pedali e i ritmi, eppure le composizioni sorprendono e strutturando questi elementi in forme nuove ci aiutano a mettere in discussione quello che già credevamo di sapere; lo fanno con tocco gentile, senza traccia di spocchia o pedanteria. Il disco si ascolta tutto d’un fiato, nel suo fluire, attraversando le atmosfere ora meditative ora drammatiche (la bellissima Brida), i sapori di Spagna e del Vicino Oriente, i toni quasi rock (storto…) di Senza Parole, il jazz anomalo di Frasi Fatte, il lirismo di Primavera Araba. Siamo a mille chilometri dalla retorica del folk virato jazz e rock che faceva la gioia delle commissioni culturali delle università del ’68 e che ancora oggi getta la sua ombra sinistra su tanta musica “impegnata”; Paolo Angeli dimostra come, consapevoli delle proprie radici, sia possibile evolversi naturalmente e senza troppi intellettualismi. Un discorso valido anche al di là del semplice ambito musicale: capirlo sarebbe già di per sé una rivoluzione.