NOfest! 2012 – 24/06/12 Spazio 211 (Torino) Terza parte

E si arriva così all’ultimo giorno, carichi della fatica di quelli passati, soprattutto della tirata del sabato, ma determinati a presenziare il più possibile: i nomi che abbiamo in agenda sono diversi e il programma si presenta interessante fin dalle primissime battute.
Ad aprire le danze, dando continuità con la chiusura della sera prima, è Luca Sigurtà che suona nell’area Freaks Show ma giù dal palco, giusto per favorire l’interazione con un pubblico già a quest’ora (sono da poco passate le quattro) discretamente numeroso. Elettronica analogica completamente suonata e un set ancora diverso da quello che avevamo avuto modo di sentire non più di un mese fa. Stavolta alle divagazioni ambientali e ai “classici” momenti di rumore si aggiungono delle ritmiche sintetiche che movimentano il set, al solito intenso e limitato nel tempo: dobbiamo ammettere sia valsa la pena interrompere la partita a calcio balilla in cui eravamo impegnati per assistere all’esibizione. Per dovere di cronaca dobbiamo citare il vero e proprio coprotagonista dell’esibizione, il freak punk svizzero che, a un passo dal musicista, ha passato tutto il tempo a lavarsi i denti: sapere che i punkabbestia hanno cura della propria igiene orale è cosa che ci fa guardare al futuro con rinnovata speranza. Subito dopo tocca a Musica Da Cucina, il progetto di Fabio Bonelli, che sale su un palco attrezzato almeno quanto l’angolo cottura di Gordon Ramsay. Tra un eccellente lavoro di loop station e grattuge, pentole di varie dimensioni, mestoli, fruste per sbattere le uova e altro, prendono forma deliziose melodie tra il cantautorato e l’indie più leggero. Davvero un bel sentire. Ci spiace perdere la successiva esibizione del cantautore Ila Rosso, ma la nostra curiosità è attratta dal laboratorio di musica per bambini tenuto da Fabio Battistetti (alias Eniac) che, come un novello pifferaio di Hamelin, vediamo aggirarsi fra tavolini, piante e persone seguito da un serpentone di musicisti in erba con flauti, tamburi, xilofoni, senza contare i cani sciolti che sperimentano i timbri dei vari oggetti sparsi nell’area con bacchette da batterista. Piccoli free jazzisti crescono; e, mi sa tanto, pure piccoli Merzbow. Intanto sono iniziati i concerti al chiuso, dove i giovani punk funk rockers Foxhound dimostrano, come dice acutamente qualcuno, di aver ascoltato i dischi sbagliati dei Police. Sarà il caso di concentrarsi meno sulle mossette e più sul ripasso dei fondamentali. Nonostante le buone intenzioni perdiamo colpi e manchiamo quasi dl tutto l’appuntamento con l’hard strumentale dei Dust Inside: il caldo si fa sentire e il condizionatore all’interno della sala fatica a mantenere una temperatura vivibile, per cui non di rado si cerca sollievo sotto le piante o nella pseudo spiaggia a fianco dello spazio dibattiti. Chi ci spinge a rientrare al chiuso sono gli attesissimi romanofest2012neoni Heroin In Tahiti: il duo tiene fede alle aspettative con suoni da surf della morte e western spaghettaro, per una performance sicuramente piacevole, ma con quel sapore di malessere all’amatriciana che, anche inquadrato nell’estetica del “veramente falso” che tanto va (andava?) di moda, non ci convince fino in fondo. Più o meno quando sul palco indoor salgono gli Zippo, nella Mosconi Death Room, ormai a tutti gli effetti sede dei concerti carbonari, prendono posto gli How Much Wood Would A Woodchuck Chuck If A Woodchuck Could Chuck Wood. Stavolta la voce deve essere girata di più e il posto in poco tempo è pieno, facendo venire meno la fresca temperatura che i primi arrivati si erano goduti: ora sì che è una Death Room che tiene fede al proprio nome. L’atmosfera greve non è tuttavia inadatta e d’altra parte sarebbe un peccato limitare a pochissimi lo scarno rock di matrice Swansiana che i tre torinesi hanno ormai assimilato, piegandolo alle proprie esigenze espressive. Mezz’oretta, forse meno, di toni gravi alternati a voci angeliche, al luce di una flebile lampada: sarà una delle cose da ricordare di questo NOfest!. Contemporaneamente, i già citati Zippo sciorinano con buon mestiere tutti gli stilemi del post metal Mastondon-tico: non inventano nulla ma fanno la loro figura suonando pesanti e misurati con un set riuscito e piacevole, a base di perizia tecnica e pezzi ben congegnati. Degli El Torpe, colpevolmente, non sapevamo nulla. Poi, nel pomeriggio, comincia a girare la voce che ci suoni Cristiano Calcagnile e la cosa si fa interessante. Il lavoro di intelligence continua, si ha conferma della presenza di qualcuno dei Newtone 2060, ma non si sa chi. Per farla breve, la certezza l’abbiamo solo quando vediamo sul palco Marco Albert, che per dare consistenza fisica al proprio progetto solista ha chiamato intorno a sé proprio Calcagnile alla batteria e Gabrio Baldacci alla chitarra. È ancora negritudine irregolare come già nel caso di Jealousy Party e Starfuckers, qui più virata a un hard-blues sghembo e spigoloso, con la batteria che solo apparentemente va via dritta e la chitarra che taglia riff che sembrano sampietrini. In tutto questo, Albert smanetta con l’elettronica e canta, gigioneggiando piacevolmente con il Foetus migliore. Una delle migliori cose viste quest’anno e la maggior sorpresa in assoluto. Gli Ornaments non si risparmiano per nulla offrendo uno spettacolo notevole a base di postrock ibridato d’hardcore che andava molto qualche anno fa: non per questo il loro imperioso suono strumentale è meno interessante e il pubblico dimostra di gradire, eccome. Nel frattempo è iniziato il match Italia vs. Perfida Albione e buona parte del pubblico si raccoglie intorno al maxi schermo per seguire l’incontro, impreziosito dallo scorrettissimo commento dell’eroe locale Mario Spesso, intervallato da agghiaccianti hit bastardpop. Sul palco è intanto il terzetto batteria/chitarra/sax dei Neo che, raccogliendo il testimone degli Zu, impressiona per perizia nell’eseguire il proprio hard jazz zorniano, ma della loro esibizione rimane poco oltre allo stupore. Anche i concerti hanno subito un rallentamento a causa della partita e solo quando Diamanti realizza l’ultimo rigore possono partire i Germanotta Youth. Orfani di Massimo Pupillo al basso, il terzetto romano sciorina senza tanti complimenti rasoiate grindcore e ignorante ironia, in una possibile versione strumentale degli Inferno, gruppo da cui qualcunnofest2012eltorpeo di loro proviene, ma nemmeno troppo lontano dalle evoluzioni dei Genghis Tron. Sì è così fatta mezzanotte e il pubblico è praticamente tutto all’interno del locale per l’act finale, affidato alla famigerata Piramide Di Sangue. Un impianto strumentale di tutto rispetto (basso, batteria, due chitarre e clarino) da cui sgorga un hard-psych rock molto ’70, fra cadenze quasi doom e stratificazioni psichedeliche. Potenza e gran tiro, ma gli Squadra Omega, al momento, sono ancora su un altro livello.
E così anche quest’anno, come recita una delle vendutissime magliette del NOfest! “la musica è finita, gli amici se ne vanno”, anche se a onor del vero a quest’ora molti se ne sono già andati, essendo il giorno dopo lavorativo. Tirare le somme di un festival così complesso non è facile. L’organizzazione si è dimostrata all’altezza anche allargando la proposta (non solo musicale); il livello qualitativo la media complessiva si è alzata, pur senza i picchi di qualche gruppo degli anni passati. Abbiamo avuto la nostra dose di conferme (Starfuckers, Sigurtà, Ornaments, OvO, Rella The Woodcutter, How Much Wood…) e qualche bella scoperta (Lakes, Wellington Irish Black Warriors, El Torpe, Farmer Sea, Chris X, Spare Parts). Infine, cosa non da poco, abbiamo potuto saggiare le effettive qualità di alcuni nomi à la page e sulla bocca di tutti, mettendoli a confronto con gruppi già affermati o, diciamo così, emergenti. Cosa si possa fare di più l’anno prossimo davvero non sapremmo, ma visto come gira da queste parti, siamo fiduciosi.

(a cura di: Claudia Genocchio, Emiliano Grigis, Emiliano Zanotti)