NOFest! 2011 – 17-19/06/11 Spazio 211 (Torino)

Ancora il No Fest, ancora un weekend di giugno in quel di Torino, stavolta assistiti da tempo favorevole, con gli acquazzoni mattutini a rinfrescare i pomeriggi di sole e concerti. Quest’anno la proposta era, almeno per quel che ci riguarda, un po’ meno attraente per via di diversi nomi già visti nel corso dell’anno, ma il cartellone ricco e la speranza di qualche sorpresa ci porta a non indugiare troppo e a convergere sulla città sabauda.
Il tratto probabilmente più caratterizzante di questo festival è il suo essere slegato dalle logiche di genere e quindi dai settarismi delle varie scene: accontenta un po’ tutti, ma soprattutto permette, con un minimo di apertura mentale, di fare belle scoperte fuori dalle proprie abituali frequentazioni. Il nostro piano d’invasione è lo stesso che lo scorso anno ha dato così buoni risultati: arriviamo in città, ci sistemiamo nei bed & breakfast che l’impeccabile settore logistico di Sodapop ha scelto per noi e ci dirigiamo allo Spazio 211. Giusto il tempo per i saluti e ad inaugurare la tre giorni ci no_fest_2011_gala_drop_foto_di_elena_pratipensano gli Splinter vs. Stalin, una partenza decisamente in quarta. Musica (musica?!) per molti ma non per tutti, col loro harsh noise a supportare un malatissimo recitato in italiano, danno immediatamente la sensazione che il trono lasciato vacante dai deludenti Teatro Satanico visti alla Three Days Of Stuggle abbia trovato un occupante, anche se stilisticamente siamo più vicini all’abisso psicotico di Atrax Morgue che non alla follia dei diabolici veneti. Un inizio autenticamente disturbante che, paradossalmente, ci mette di ottimo umore. Dopo di loro sul palco salgono i Karl Marx Was A Broker, discreti pezzi strumentali per basso e batteria, molto ben suonati ma che non reggono granché alla distanza. Cogliamo il momento di stanca per dirigerci verso l’area ristoro per quella che è la prima grande conferma del No Fest: i panini. Non considerate sciocca la cosa, in un luogo dove si sta per otto o nove ore filate, avere a disposizione un pasto nutriente e psicologicamente appagante, invece dei soliti panini mal farciti, non è cosa da poco. Dopo questa doverosa digressione gastronomica torniamo a parlare di musica con l’esibizione dei locali Titor, rock’n’roll bello pesante, a volte memore delle glorie dell’hardcore nostrano. Dal basso del suo metro e sessanta si erge su tutti l’istrionico cantante, vero animale da palcoscenico a metà strada fra Iggy Pop e Paolo Rossi (quello che faceva ridere, non quello che faceva gol), regalandoci genuine risate fra un pezzo e l’altro. Promossi. Quest’anno il festival ha aperto le porte anche a un nome straniero: i portoghesi Gala Drop fanno pensare che sia una strada da battere anche in futuro. Attesi da molti che li conoscevano attraverso le registrazioni non deludono le aspettative, col loro improbabile mix di Pink Floyd, Tortoise più fusion e il Santana di Woodstock. Parlando di gruppi lontani dai nostri ascolti ma che non si può fare a meno di apprezzare, la palma dei migliori in assoluto va certamente ai garagisti The Rippers, suono marcio e teso, come nella miglior tradizione del genere. A chiudere la serata l’all star band In Zaire: batteria dei G.I. Joe, Claudio Rocchetti all’elettronica analogica e Stefano Pilia alla chitarra: musica tribale per il nuovo secolo, anche se la mancanza del basso fa mancare quel groove che renderebbe il tutto ancor più intrigante. Sulle note dei DJ cala il sipario sui concerti del primo giorno; noi andiamo a prenderci il meritato riposo, ma nell’area della festa affluisce tantissima gente e no_fest_2011_johnny_mox_foto_di_elena_pratil’impressione è che qui le cose andranno avanti ancora per un pezzo.
La mattina del sabato, approfittando della pioggia che scoraggia escursioni all’aperto, la dedichiamo alla cultura (la retrospettiva di John McCracken al Castello di Rivoli merita una visita) e così arriviamo un po’ in ritardo allo Spazio, perdendoci I Fasti e Onefuckone. Permetteteci un altro inciso prima di tornare a parlare di musica: il colpo d’occhio sull’area del festival ci dà l’esatta misura di quanto il No Fest sia cresciuto e sia diventato un evento di quelli da non mancare, uno spazio di scambio fra realtà diverse e spesso lontane. C’è gente che si è fatta centinaia di chilometri, dai musicisti ai discografici, da noi scribacchini ai fondamentali ascoltatori di tutte le estrazioni… musicali, salutarmente mischiati e interagenti. Davvero un bel vedere. Detto ciò che l’occhio vede, torniamo a dare importanza alle orecchie con i Ruggine: il loro disco non ci aveva impressionato granché, dal vivo invece sono una potenza. Lo stile è quello, post hardcore con testi semi-recitati, ma la resa è incomparabilmente migliore, con la voce un po’ bassa che evita l’effetto Massimo Volume e i due bassi, a supportare la chitarra, che lasciano il segno. Dato che oggi i gruppi sono parecchi sono presenti ben tre palchi, il Tura Satana, quello sopraelevato al chiuso, il Lightning Bolt vs. Gil Scott-Heron sempre al coperto ma rasoterra e il Captain Beefheart, all’aperto. È sul secondo che si esibiscono gli attesi Blind Beast, progetto del cantante dei Movie Star Junkies, qui in veste di batterista. Della serie “gente presa davvero male”, mettono in scena un’esibizione che concilia rock’n’roll marcio e industrial degli albori, che dall’incomunicabilità iniziale cresce lungo un percorso tortuoso fino a un finale per chitarre, voce distorta e bidone del latte percosso che sarebbe piaciuto a J. G. Thirlwell, in arte Foetus. Si torna sul palco principale per The Death Of Anna Karina in forma migliore rispetto alla prestazione vista ad Ekidna l’anno scorso; un gruppo che divide in modo netto, sia prima che a maggior ragione ora col nuovo cantante. A volte il chitarrista si lascia andare a qualche discorso retorico che cade un po’ nel vuoto, facendo perdere un po’ di mordente all’esibizione, ma nel complesso il giudizio è positivo anche se si ha come l’impressione che i gruppi che verranno ricordati a questo No Fest saranno ben altri. Sicuramente non i ManzOni e il loro post rock dilatato con testi declamati con enfasi un po’ ridicola; decisamente meglio l’hip hop mutante di Johnny Mox, che col tempo va arricchendosi di percussioni campionate live e loop sempre più complessi, portandoci da moderni gospel fino alle soglie del rumor bianco. A lui è andato l’onore di inaugurare i palco esterno, noi torniamo al chiuso per i Morkobot, mezz’ora di noise metal strumentale che aiuta a integrare salutarmente la percentuale di metallo che ci scorre nelle vene. Suonassero di più rischierebbero forse di annoiare (la formula dei due bassi e batteria ha ovvi limiti), ma nell’arco dei trenta minuti danno il meglio. Il testimone passa ai calabresi Captain Quentin che ben impressionano col loro post-punk matematico e strumentale che combina ritmi irregolari e piglio danzereccio. Il palco Beefheart ospita quasi in contemporanea l’Istituto Luce, il nuovo progetto di musica seria di Zagor Camillas e DJ Minaccia (il tutto diventa un po’ meno serio se li guardate in faccia durante l’esibizione): elettronica analogica e batteria “vera” (suonata dal misterioso La Mela) niente male, lontana sia dalla musica 8 bit che dal cabaret camilliano. Nel clima surriscaldato del Tura Satana danno no_fest_2011_squadra_omega_foto_di_elena_pratibuona prova di sé i The Secret, suonando lenti, sporchi e metallari come ogni buon gruppo Southern Lord dovrebbe fare, accelerando di tanto in tanto giusto perché non ci si rilassi troppo. Brutali, ma ancor più brutale è il passaggio che ci porta dalle vette del rumore all’indie quasi orchestrale degli A Classic Education; anche qui giudizi contrastanti, tra chi li boccia senza appello e chi invece trova affascinante la miscela di Modern Lovers e garage proposta dal quintetto. Viene così il momento dell’ex Fugazi Joe Lally, che non so se annoverare fra gli stranieri oppure no, essendo trapiantato da tempo a Roma; dall’incertezza con cui parla italiano, opterei comunque per il sì. Il suo concerto parte bene con pezzi del primo e miglior album, basso in evidenza e chitarra che si limita a sottolineare solo alcuni momenti, ma nel prosieguo le sei corde si fanno invadenti e un po’ stonate nel loro rifferama seventies, facendo calare la tensione di un concerto comunque discreto. Mentre gli ultimi due gruppi erano in azione, gli operosi volontari del No Fest andavano allestendo sul pavimento il palco per la Squadra Omega, stasera in quartetto ma con entrambe le batterie in organico. Il pubblico si accalca tutto intorno e così i quattro atleti, truccati e avvolti nelle loro tuniche che fanno molto Art Ensemble Of Chicago in versione black metal, possono prenderlo alle spalle penetrando le linee in processione e al suono di sax e tamburelli, per accomodarsi ai posti di combattimento. Assistiamo a un unico lungo pezzo diviso in due momenti che mettono in luce la doppia anima del gruppo: furia tribale, poliritmie e svisate free nella prima parte, minor enfasi percussiva e musica maggiormente suadente in quella conclusiva. Pur sempre di psichedelia si tratta e il pubblico ipnotizzato è la miglior dimostrazione che la formula funziona a meraviglia. A chiudere la giornata concertistica e a darci la buonanotte, in maniera tutt’altro che dolce, sono i La Quiete, la voce sommersa dalle chitarre, il caos che prende forma: i molti che vedevano in questo uno dei set più attesi del festival non saranno rimasti delusi.
Domenica, terzo e ultimo giorno, le energie cominciano a venire meno e le temperature elevate e il sole cocente del pomeriggio contribuiscono a far scendere la pressione sotto il minimo, trasformandoci in zombie claudicanti e balbettanti, incapaci di prendere qualsiasi iniziativa che non sia il deambulare senza meta nel prato dello Spazio 211 in cerca di pace. Un bel po’ di cose si perdono così per strada, tra una no_fest_2011_la_crisi_foto_di_elena_pratichiacchera ai banchetti e il tifo al ring di carta della Comic Battle, divertentissimo scontro all’ultimo colpo di matita tra sedici bravissimi disegnatori: la sfida finirà col buio e in certi frangenti attirerà più spettatori dei concerti. Tra i ricordi sfocati che riemergono dalla mente, una sicura menzione meritano i napoletani Aspec(T) con un‘esibizione tesa al limite dell’ascoltabile, una continua sfida all’ascoltatore: il duo, tra feedback, nastri e rigurgiti glitch mette in scena il concetto di frantumazione del suono, niente è durevole, tutto si sgretola e diventa ritmo. Estremi ed appaganti. Poco prima, sul palco esterno, un incomprensibile Iosonouncane aveva lasciato molti senza parole, ottimi testi, supportati però da un impianto musicale un po’ sfocato che solo a tratti riusciva a prendere una direzione precisa, o meglio, riusciva ad avere una resa sonora decente. E ancora: Lili Refrain che propone un set molto simile a quello a cui avevamo assistito al Tago Fest 2010, per certi versi affascinante, ma a mio avviso azzoppato dalla scelta dei suoni: visto che tutto è basato sulla chitarra forse una maggiore cura in questo senso non avrebbe stonato, un suono distorto più caldo e meno ronzante poteva essere più apprezzato. Piacevole sorpresa è rappresentata da Newtone 2060, trio guidato dal fantasioso drumming di Cristiano Calcagnile, dove uno strano miscuglio tra una voce campionata e un uso poco ortodosso di piatti e vinili, mi riporta alla mente, forse senza motivo, atmosfere alla Cop Shoot Cop. Lo stesso piacere purtroppo non si può dire per Nonlinear, che tra ska punk e un tocco leggero di elettronica qualche apprezzamento tra il pubblico lo tirano su, ma insomma, sono trascurabili e infatti si esce diretti alla Comic Battle. Ma il gran colpo il No Fest lo riserva per le battute finali: i Mombu di Luca Mai e Antonio Zitarelli sono una carica di elefanti inferociti lanciati verso il cuore dell’Africa, la terra trema, i canti di guerra si alzano al cielo, ad un certo punto siamo tutti convinti che il soffitto stia per crollarci sulla testa. Semplicemente sovraumani, potrebbero essere l’evoluzione dell’uomo di Neanderthal. Grande attesa pure per i Franti, un pezzo della storia della musica a Torino, anzi un pezzo della storia della musica e basta. Disgraziatamente perdo la prima parte del concerto ed entro appena in tempo per la cover di All Tomorrow Parties. Lalli è semplicemente eterea (ricorda tanto la grande attrice di Boris, il film), si allontana dal microfono e la sua voce è un sussurro, le sue mani disegnano figure impalpabili. Dopo gli ultimi due pezzi e l’uscita del gruppo dal palco lei rimarrà ancora lì a vagare, in attesa di qualcosa, in cerca di qualche parola, finché una voce non si alzerà dal pubblico apostrofandola “AH SCIOPPA!”. E per concludere finale pirotecnico dei Ronin, che però ci perdiamo e ci viene raccontato: Dorella e la sua band sono una garanzia e ci fidiamo sulla parola. Che dire ancora? Terzo No Fest e terzo successo, con una organizzazione precisa al limite del maniacale, salvo per un non trascurabile particolare: la domenica le verdure per i panini sono finite un po’ troppo presto!

(a cura di: Danilo Corgnati, Marcello Ferri, Emiliano Grigis, Emiliano Zanotti. Foto di Elena Prati. Foto di copertina di Matteo Bosonetto)