Nick Hornby – 31 Canzoni (Guanda, 2003)

31canzoni

Se per molti Alta Fedeltà è il libro che parla della loro passione per la musica, per me non è stato per nulla così: Nick Hornby metteva in luce tutti i tic dell'appassionato di musica, tratteggiando un personaggio per nulla positivo. Insomma, mi sembrava che gli appassionati di musica, un po' tutti e non solo il protagonista, ne venissero fuori come degli egoisti sempre pronti a preparare un mix tape invece di affrontare sentimenti e problemi; in più il romanzo non mi faceva impazzire anche perché descriveva cose sentite, vissute e ancora vive per me: preferisco di gran lunga i ricordi delle mie emozioni alla scrittura di Hornby, un po' piatta per i miei gusti. E stavolta, con 31 Canzoni? Conferma piena dei miei pregiudizi.
Hornby è un appassionato di musica nel senso più hooligan del termine (forse dovrei dire da Febbre A 90): sale in cattedra a spiegare per bene cos'è la buona musica, come si ascolta, quali sono i meccanismi del ricordo applicati alla canzone… Il punto non è se mi trovo d'accordo o meno con i vari argomenti che affronta, alcuni in modo interessante (altri molto meno), ma il fatto che rispunta un bel po' di quel fastidio che provavo per il personaggio di Alta Fedeltà e ho capito che è Hornby che mi sta proprio antipatico: con prese di posizione del tipo "se non vi piace il gruppo tal dei tali è evidente che" si guadagna subito il mio malcontento, ma ci sono un paio di stilettate che non mi sono andate giù per niente.
Ogni capitolo è dedicato ad una canzone ed un paio di capitoli per me svettano su tutti: primo quello sul rock pesante, la "musica rumorosa", dove Hornby liquida almeno trent'anni di musica pesante con lo stereotipo del ragazzino che non intendendosene di musica ascolta "quella più rumorosa" convinto che così non potrà sbagliare, e ci dichiara che crescendo non ha più avuto tempo per "il rumore che fa Jimmy Page"… Perché sta parlando dei Led Zeppelin! Da lì a Burzum e quello che ci sta in mezzo messo alla porta in tre pagine come del resto il cinema sperimentale perché ora ha "più interesse per il buongusto"… Subito dopo mi è venuta voglia di ascoltare Fuck You degli Overkill e gli Slayer. In più poco dopo arriva ai Suicide: nonostante bolli il pezzo come capolavoro, descrive la musica sperimentale (tutta in blocco, naturalmente) come un genere che i critici repressi apprezzano perché loro nella vita non hanno mai vissuto, ma che lui non ha tempo per ascoltare, dato che non vuole "mai più essere terrorizzato dall'arte". Naturalmente tutti quelli che come lui hanno problemi veri nella vita non possono ascoltare questa musica perché hanno cose più importanti a cui pensare e cercano musica che sia svago; perché c'è un esagerato culto del "pericolo", dovuto "all'eccesso di cultura"… anche l'eccesso di cultura adesso! E conclude il capitolo con un "ma non provate a farmi sentire moralmente o intellettualmente inferiore". Come dice lo psicologo a Fantozzi: "Caro Fantozzi, la smetta con questo problema del sentirsi inferiore e si guardi allo specchio… lei è inferiore!".
E le canzoni scelte per i vari capitoli? Non abbiamo del tutto gli stessi gusti, ma non è questo il punto… Sembra che tutto questo pop leggero piazzato dappertutto serva a far dimenticare un passato più "estremo" di Hornby, come se se ne vergognasse. Il libro scorre liscio con quel pizzico di piattezza che mi infastidisce, e si risolleva solo nei momenti descritti sopra, in cui almeno mi ha fatto saltare il tappo.