Neptune + Panther – 20/03/09 Arci Kroen (Villafranca – VR)

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Si incrociano nella campagna veronese il tour italiano dei Neptune, terzetto che sta portando in giro l'incensatissimo album Gong Lake e quello dei Panther, duo accasato presso la rinomata Kill Rockstars. L'abbinamento è anomalo ma di indubbia qualità e richiama un buon numero di spettatori, con una leggere prevalenza a favore del trio del Massachusetts, conferma di come il Kroen si stia facendo un nome fra gli appassionati della musica meno etichettabile. I Panther, sulla carta, hanno davvero poco per entusiasmarmi: punk para-danzereccio per chitarra e batteria, con basi registrate. Entro al secondo pezzo e la combinazione di cassa dritta, basso campionato e urletti conferma subito i mie peggiori sospetti: musica "ex-di-moda" invecchiata con la consueta precocità. Fortuna vuole che il prosieguo cambi un po' le carte in tavola; le basi passano in secondo piano, la batteria si fa meno dritta e le canzoni assumono un taglio più indie rock, sbracate e panther__kroenlo-fi quanto basta, quasi una versione leggermente più strutturata dei Guided By Voices. Il concerto precede lungo queste coordinate, con solo qualche breve puntata in lidi più ballabili, fino a chiudere in bruttezza con un lungo brano per batteria e basi, col chitarrista che, accantonato lo strumento, si dimena già dal palco col solo microfono. Portano a casa comunque un buon punto esterno.
Tocca ora alle star della serata. I Neptune, esteticamente, sono quanto di peggio possiate immaginare: il chitarrista sembra uno dei barboni assassini di Assalto Al Distretto 13, il batterista è conciato come un reduce della Madchester di fine '90, infine il bassista che, se Billy Corgan era l'amichetto di Super Vicy, ha certamente interpretato il figlio più piccolo della famiglia Bradford. Un'impressione non migliore desta la visione degli strumenti: la batteria è un'accozzaglia di piatti rotti e pelli tirate su bidoni dell'immondizia, mentre basso e chitarra, se proprio vogliamo chiamarli così, sono assemblaggi a base di radiatori, stufette, tralicci di metallo e materiale elettrico, che al solo guardarli fanno rischiare il tetano. Qualche minuto speso a regolare puntigliosamente gli strumenti, specie i distorsori artigianali, che nel caso cicchino il test sono gettati via senza troppi riguardi neptune__kroene si è pronti a partire. Di primo acchito viene da chiedersi che senso avesse tanta pignoleria se il risultato è una chitarra col suono di una fonderia a pieno regime, un basso, a volte sostituito da una consolle con varie manopole, aggeggini, pure un telefono (!), che suona come un treno che deraglia al rallentatore e la batteria che sembra una scarica di mitra continua contro delle blindature. Rispetto all'album, il suono è molto meno mediato, diciamo pure che non lo è per nulla. Se là, magie dello studio, gli strumenti suonavano come normali o quasi, qua ciò che ci arriva è il suono crudo del metallo che trapana le orecchie; accantonata l'intelligibilità, se non proprio fruibilità del disco, siamo in balia della più efferata tempesta d'acciaio in stile Einstürzende Neubauten prima maniera. Certo, non sarebbe dispiaciuto qualche momento di pausa, ad esempio aver conferma che la lirica Black Tide sia stata effettivamente suonata da questi marchingegni bruti, ma è evidente fin da subito che non è serata per queste smancerie. Nel corso della performance entrano in gioco anche artigianali kalimba elettrificati e radio transistor amplificate, mentre il batterista mischia scotch e birra picchiando come un fabbro d'altri tempi, o come una moderna macchina stampatrice. Oddio, un po' meno preciso di una macchina, non fosse per il fatto che dopo circa tre quarti d'ora di concerto si spappola la mano contro il bordo del bidone-timpano e scalciato malamente lo pseudo-pedale della cassa, se ne va con aria non propriamente felice fra gli sguardi esterrefatti del pubblico. Per un po' si attende che ritorni, se lo attendono forse anche i suoi compagni, poi ce ne si fa una ragione: un concerto che suona come la demolizione di un grattacielo, non può che finire così.

 

(Foto di Milvia)