Neptune – Gong Lake (Table Of Elements, 2008)

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Attivi addirittura dal 1994, i Neptune si dice stupiscano  per le loro performance dal vivo. Se, come me, non li avete ancora visti vi invito a dare un'occhiata a qualche video che gira in rete  per capirci. Come per Oneida o Liars, credo che ci siano gruppi che per essere compresi e apprezzati appieno prima debbano essere visti dal vivo. Poi nel religioso silenzio della propria camera, si colgono le sfumature di un disco, per poi rendersi conto, come succede in gruppi come quelli citati, che il percorso del disco o la strada del concerto spesso portano a mondi antitetici che solo poche volte si toccano (un riff o un suono che ti è rimasto impresso, poco più). Non si tratta tanto di due percorsi che vogliono sopraffarsi, ma di due modi di intendere il suono, a seconda del contesto. E ciò più si nota nelle band dove l'approccio diventa più sperimentale, dove per forza di cose l'ascoltatore ha meno appigli e meno certezze e dove è più difficile riprodurre suoni se ai tuoi piedi non hai loop station e altre diavolerie. E' qui che la sorpresa può diventare anche grande. I Neptune, dal Massachussets, sono inventori di strumenti da materiali di scarto (tubi, laminati, fusti d'olio, bandita ogni forma di elettronica che non sia un mangianastri) e cercano dei suoni immergendosi in pieno nell'avanguardia dell'industrial quanto del noise punk. Come se gli Einsturzende Neubauten dovessero riarrangiare dei pezzi di Nick Cave per poi abbandonare la cosa e tornare a fare di testa loro, mandando a quel paese anche il re inchiostro. Rispetto alla lunga premessa fatta, per ora sono a metà del guado e sto apprezzando solo l'album Gong Lake, immagino però che l'attesa sarà  breve: stasera li vedrò e penso che qualcosa si scuoterà se eseguiranno a modo loro brani come Copper Green o la cavalcata che non fa prigionieri di Red Sea.