Nate Wooley – Columbia Icefield (Northern Spy, 2019)

Si respira da subito una particolare atmosfera estraniante in Columbia Icefield, nuovo lavoro del trombettista Nate Wooley, dove risalta un senso ambiguo di fondo che parla della relazione contraddittoria tra seduzione e paura, attrazione e inquietudine. Un imponente ghiacciaio che funziona perfettamente come metafora del rapporto ambiguo tra uomo e natura, tra le profondità abissali dell’animo e l’insostenibile maestosità dell’ambiente. Descrivere una questione così complessa è un compito arduo, ma la scrittura di Wooley riesce a darne una visione estremamente affascinante, coadiuvata dal prezioso chitarrismo di Mary Halvorson che duetta splendidamente con la steel guitar di Susan Alcorn, e da Ryan Sawyer che chiude il cerchio dietro le pelli raccordando con intelligente raffinatezza. Modernissimo avant jazz che da tematiche sospese imbastisce impalcature progressive che nascondono sotto una facciata di apparente intelligibilità densi e insoliti squarci riflessivi.
Dai primi secondi di Lionel Trilling l’attenzione è immediatamente catturata dall’architettura della composizione, una stratificazione di temporalità diversificate concatenate orizzontalmente a costruire incastri vorticosi; un incedere ipnotico sul quale la tromba di Wooley intarsia con la sua matematica rimbrotti di frammenti rumorosi. Tra aperture libere e dissertazioni post, lo sguardo si stende su spazi siderali facendo ruotare la composizione nella sua ciclicità. Il tutto valorizzato da una produzione accuratamente pensata per la migliore resa possibile dell’orizzonte concettuale. Un tocco di classe che si rivela ancora più evidente nella successiva Seven In The Woods, un blues per lande desolate lento e dall’armonia seducente, dove i riverberi hanno il retrogusto delle rifrazioni della neve. Un tema desertico ma non affatto arido per una traccia poetica e ambiziosa, smaliziata eppure rispettosa, con un bagliore malinconico che rapisce, ma capace di sbocchi dissonanti che fanno emergere l’inquietudine per l’inaccessibile. Nell’ultima With Condolence i suoni diventano invocazioni che si perdono nel vuoto assorbite dall’ambiente ovattato, portando con se quello strano fascino fatto di incomunicabilità verso un climax free calibrato a sostenere una sensazione contrastante di fondo. Poi la voce appare nella sua realtà e le parole disorientano col sapore del turbamento, uno strano senso di speranza e dolorosa separazione pervade la scena in un crescendo cupo lasciandoci al cospetto di quello che sentiamo, a riflettere.
Un linguaggio affascinante che racconta pulsioni umane ataviche come l’irresistibile fascino della bellezza inquietante. Un disco molto ispiratodi e di rara forza poetica.