Murmur Mori – La Morte Dell’Unicorno (Casetta, 2018)

La prima cosa che si nota del nuovo disco dei Murmur Mori è il suo essere un lavoro ormai maturo: lo stile è collaudato – folk che guarda a 360° alla tradizione italiana ma incorpora influssi europei di oggi e di ieri – gli arrangiamenti impeccabili, le liriche splendidamente sposate alle melodie. Eppure, per essere un album della maturità, La Morte Dell’Unicorno è sorprendentemente aperto, non definitivo; lo è perché il gruppo è in continuo movimento e la raggiunta perfezione stilistica è solo un punto d’appoggio da cui continuare una ricerca proiettata tanto al passato quanto al contemporaneo. È una semplificazione eccessiva, ma torna utile per il momento, analizzare i brani secondo queste due categorie. Guardano indietro, alla tradizione europea medievale, le improvvisazioni strumentali di Ballo Tradizionale, Antico Passo e Danza Vermiglia – tutti basati su ritmi e melodie d’epoca – così come l’antica canzone di protesta Ai Vist Lo Lop e A La Stagion Che’l Mondo Foglia E Flora, che musica una poesia della poetessa duecentesca Donzella Compiuta; lungi dall’essere una pura opera filologica – aspetto comunque presente – questo rinsaldare i legami col passato è un punto fondamentale della poetica dei Murmur Mori. Diventa evidente quando, da quello stesso passato, il gruppo ripesca storie dimenticate e le fa vivere nel presente, dimostrando come il loro valore non scemi col tempo, semmai si accresca grazie allo sguardo lucido e scevro di ideologizzazioni che sa gettare sulla realtà odierna: è il caso di Lo Schiavo Fuggiasco (da un racconto di Paolo Diacono), La Volpe D’Oro (antica leggenda senese), La Nave Dei Folli. La morte annunciata nel titolo non è la fine ma solo una tacca sull’eterna ruota del tempo, idea che poi tornerà ne Il Fiume Scorre: in copertina il corno dell’animale morente va a fecondare la corolla di un fiore vermiglio ed è il punto di (ri)partenza del tutto. Ci addentriamo nel disco accompagnati dal temibile ma benevolo lupo de Lo Schiavo Fuggiasco, vero animale-guida, primo di una lunga schiera che abita le tracce: ci sono i cani e i cavalli che scortano La Caccia Selvaggia, complesso mito europeo sul risveglio della natura e sulla sua forza violenta, c’è la grande volpe che pone un limite all’agire umano (La Volpe D’Oro), ci sono gli uccelli che accompagnano col cinguettio la chitarra de La Suite Del Bosco e gli animali proto-orwelliani di Ai Vist Lo Lop che invece rappresentano il potere oppressivo delle istituzioni politiche e religiose. Siamo lontani dalle odierne contrapposizioni fra chi romanticizza e chi demonizza l’animale selvatico: quelli di cui cantano i Murmur Mori sono agenti di una forza primordiale che non ci chiedono protezione né aiuto, ma con la loro sola presenza ci riportano a una dimensione più concreta e autentica dell’esistenza. Non meno potenti sono poi le storie delle persone alla ricerca di una libertà perduta: chi vorrebbe fuggire da un matrimonio imposto (A La Stagion Che’l Mondo Foglia E Flora), chi è soggetto a una forzata emarginazione (La Nave Dei Folli, che non sfigurerebbe nel repertorio dei Dead Can Dance), chi agogna il ritorno alla terra natia (Lo Schiavo Fuggiasco). La Morte Dell’Unicorno va ad integrare (ma probabilmente non ancora a completare) un ambizioso canzoniere che ci parla di un tempo eternamente presente, rendendolo nella sua complessità, lontano da semplificazioni e facili soluzioni e lo fa, sotto la patina gentile e raffinata delle composizioni, attraverso canzoni di lotta che, risuonando nel petto, nutrono il corpo non meno della mente.