Mulo Muto/Beta – Tape Crash #11: The Examination (Old Bicycle, 2014)

Nell’undicesimo scontro della serie su cassetta ideata dalla Old Bicycle estraiamo dalle lamiere gli svizzeri Mulo Muto e i padani Beta, filiazione dei temibili Viscera. Siamo al cospetto di una delle uscite più fragorose della rassegna e in assoluto dell’etichetta, anche se i due gruppi danno del rumore ciascuno una propria personale interpretazione.
I Mulo Muto – duo per chitarra, synth, nastri e rumori – più che un equino ricordano nel suono una creatura degli abissi; il loro brano, lungo nel minutaggio e nel titolo (When The Sounds Of Nature Collide With Our Inner Selves And Resurface As A Stream Of Noise), è musica per fondali bui e fangosi dove si muovono esseri minacciosi. Droni profondissimi punteggiati da pulsazioni che ricordano un sonar e che, anche quando sembra emergere in superficie, non diventano certo ariosi. Solo sul finale si trova un po’ di pace, con una chitarra che dipinge più placidi paesaggi ambientali. Nulla di troppo diverso da molte produzioni di genere, ma a fare la differenza è la cura minuziosa riservata al suono, potente da far vibrare le viscere ma sempre –passatemi il termine – ascoltabile: sembra impossibile possa uscire da un oggetto così piccolo e innocuo. La copertina –opera di Berlikete – con una distesa di tentacoli al centro della quale si apre una nera voragine, si addice particolarmente alla loro metà di nastro.
In due sono anche i Beta – che si dividono fra chitarre, macchine e voci – e ci mostrano un lato del rumore più elaborato ma non meno disturbante. La loro metà è frazionata in sei pezzi e anche se non si può dire lavorino sul formato-canzone, sono apparentemente più tradizionali dei compagni; eppure, partendo da forme riconoscibili –folk, impro, post-rock- ci regalano un disco intenso e ricco di suggestioni, difficilmente circoscrivibili entro generi definiti. Si inizia con delle penante secche e una voce che invita al silenzio, rimarrà inascoltata, poi  sono pulsazioni e riff circolari, melodie livide ed epiche, chitarre che si librano su tappeti di rumore col quale, ogni tanto, non disdegnano flirtare. È da uno di questi momenti che emerge una Behind The Rose dei Death In June che si discosta dall’originale per avvicinarsi al Martyn Bates più sperimentale e che segna l’apice emozionale del lavoro, prima di una chiusura fra melodie vagamente mediorientali e atmosfere oppiacee. Forse non tutti gli spunti vengono sviluppati – il minutaggio è d’altra parte limitato – ma il terreno preparato da Beta è fertile e promettente e questi sono solo i primi, anche se già ottimi, frutti.